Campus a Sorrento, pediatri di famiglia e gestione delle malattie rare

Sono circa 8 mila, sono molto eterogenee, spesso croniche ed invalidanti e causa di mortalità precoce

Le malattie rare sono circa 8 mila, sono molto eterogenee, spesso croniche ed invalidanti e causa di mortalità precoce. Tutte insieme rappresentano circa il 10% delle malattie croniche. Spesso vengono diagnosticate in ritardo per la molteplicità della sintomatologia, non sempre chiaramente interpretabile e la loro natura subdola. Tra le malattie rare, di recente l’attenzione della comunità scientifica, ulteriormente stimolata dalle associazioni dei pazienti, si è concentrata sulle malattie neuromuscolari riuscendo ad ottenere l’inserimento dello screening neonatale nella Legge di Bilancio 2019. Questo rinnovato interesse si deve agli importanti progressi già raggiunti sul piano terapeutico per alcune di queste patologie (la Distrofia di Duchenne, l’Atrofia Muscolare Spinale, la Malattia di Pompe) ed agli intensi sforzi della ricerca scientifica per mettere a punto nuove terapie. Nel caso dei bimbi con distrofia muscolare di Duchenne, ad esempio, si possono riconoscere da subito tanti piccoli indizi fin dalla primissima infanzia (stentano a gattonare, sono goffi quando iniziano a camminare, cadono spesso, anche da seduti sono instabili), ma troppo spesso nessuno se ne accorge e tuttora quasi uno su due riceve la diagnosi oltre i 5 anni quando ormai i muscoli mostrano già i segni della compromissione e rallentare il decorso della malattia è assai più difficile. Ecco perché, per ottenere diagnosi più precoci possibili, la Società Italiana Medici Pediatri (SIMPE) ha messo a punto l’elenco delle dieci ‘spie’ che devono far insospettire in primis il pediatra, ma anche i genitori, e attivare un monitoraggio più ravvicinato del piccolo. Il decalogo è presentato in occasione di PediaCampus, a Sorrento dall’11 al 14 aprile, un’occasione di alta formazione per i pediatri di famiglia che così possono diventare un vero punto di riferimento dei genitori in caso di malattie rare dei loro figli. Sono proprio le mamme e i papà a chiederlo: un’indagine promossa dall’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza PAIDOSS condotta da Datanalysis su 300 genitori di piccoli pazienti, presentata in occasione di PediaCampus, dimostra che la maggioranza vuole il pediatra in prima linea fin dal momento della diagnosi, grazie a un uso più ampio di mezzi diagnostici e screening per le patologie rare, e protagonista anche nella gestione e nel coordinamento degli interventi terapeutici. Tuttora però il 25% degli specialisti dei centri di riferimento che hanno in carico i piccoli malati non coinvolge il pediatra nelle scelte; così un genitore su cinque, oltre a desiderare un maggior sostegno economico e una maggior facilità di accesso alle terapie e agli ausili, vorrebbe più integrazione fra pediatra e medici specialisti.

“La Distrofia di Duchenne, una malattia genetica rara che colpisce un bimbo ogni 5000 nuovi nati maschi (le femmine sono portatrici o manifestano la patologia in grado molto lieve) rappresenta un banco di prova per certi versi ideale per il Pediatra di Famiglia che voglia misurarsi con il tema delle malattie rare – spiega Giuseppe Mele, presidente SIMPE –. Questa malattia indebolisce progressivamente tutti i muscoli e rende impossibile camminare già intorno ai 10 – 12 anni.  Ecco, se i bambini fossero diagnosticati per tempo, entro i 2 anni, potrebbero ottenere i migliori benefici derivanti da una precoce ed adeguata presa in carico. La realtà italiana, invece, mostra che per questi bambini la diagnosi arriva in media a 3,5 anni, ma il valore medio è ingannevole poiché per il 42% dei bambini la diagnosi arriva intorno ai 5 anni (e a volte anche a 7, 8 anni) quando le condizioni dei muscoli sono già molto peggiorate e rallentare il decorso della patologia è più difficile”. È perciò importante intervenire prima possibile per mettere in atto, sotto la direzione degli esperti di malattie neuromuscolari, tutte le strategie terapeutiche oggi disponibili. Il fatto che le diagnosi siano spesso tardive deve rappresentare per i Pediatri di Famiglia uno stimolo ed una sfida ad impegnarsi nel riconoscimento dei segni precoci della malattia. Si tratta di poche e semplici operazioni che tutti i pediatri già svolgono quotidianamente con i propri bambini, poiché previste dai Bilanci di Salute. Oggi non è solo possibile individuare precocemente i piccoli pazienti osservando i segni tipici della malattia descritti dal decalogo, utile anche per i genitori, ma è un dovere che può trasformare i pediatri in quello che le famiglie chiedono e si aspettano: un punto di riferimento per loro e per i bimbini con patologie rare”.

Lo chiedono i genitori stessi: un’indagine condotta dall’Osservatorio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza PAIDOSS su 300 mamme e papà di bimbi con una patologia rara ha dimostrato che oltre il 90% ritiene che il pediatra debba coordinare e gestire gli interventi, ma anche avere a disposizione un maggior numero di mezzi diagnostici e di screening per le diagnosi perché siano finalmente più tempestive. In un caso su quattro però gli specialisti dei centri di riferimento, che per giunta si trovano fuori Regione nel 21% dei casi, dopo la diagnosi e durante il percorso terapeutico del bambino non coinvolgono direttamente il pediatra. Così fra i desideri più diffusi fra i genitori, oltre a un maggior sostegno economico e una maggior facilità di accesso alle terapie e agli ausili, c’è proprio una maggiore integrazione fra pediatra e medici specialisti. “PediaCampus è un momento di alta formazione che viene incontro alle esigenze delle famiglie: aumentare la sensibilità e l’informazione dei pediatri sulle malattie rare è fondamentale perché sappiano gestire al meglio i loro pazienti – riprende Mele – In questo senso il decalogo è importante non solo per i genitori, ma anche per i medici: semplici segni come le difficoltà a sedersi autonomamente o a stare in piedi, il ritardo nel camminare fino oltre i 16-18 mesi, i polpacci tipicamente più grossi possono e devono essere individuati dal pediatra durante le visite di controllo. Una diagnosi precoce è infatti fondamentale perché una presa in carico tempestiva potrebbe consentire ai pazienti di vivere una vita più lunga e di maggior qualità, per loro e per le loro famiglie: fino ai 5 anni i muscoli sono più preservati, dopo inizia un declino molto rapido ed è quindi indispensabile intercettare la patologia prima di un deterioramento muscolare consistente.

I dieci segni della distrofia di Duchenne
Se il bambino presenta uno o più di questi sintomi, è opportuno discuterne con il pediatra e con uno specialista per una valutazione approfondita.

Prima di 18 mesi:
1.            Il bimbo ha difficoltà a stare seduto da solo o a gattonare.
2.            Il bimbo non riesce a stare in piedi o a camminare prima dei 18 mesi.
3.            C’è un ritardo del linguaggio e intorno a un anno e mezzo il piccolo non ha ancora detto la prima parola. Anche le frasi complete stentano ad arrivare.A 3 anni
4.            Ci sono tipiche difficoltà nell’andatura, che è spesso ondeggiante.
5.            Il bimbo tende a camminare sulle punte o coi piedi molto piatti.
6.            Dopo i tre anni spesso ancora cade ed è goffo nei movimenti.
7.            Ha difficoltà ad arrampicarsi.
8.            Ha difficoltà a correre.A 5 anni
9.            Non riesce a stare dietro ai compagni mentre giocano e i muscoli sono deboli.
10.           C’è il segno di Gowers: nel tentativo di alzarsi dalla posizione supina, i pazienti caratteristicamente usano le braccia per ‘arrampicarsi’ sul corpo poggiandole sulle ginocchia per compensare la debolezza dei muscoli delle gambe.

Fonte ilmattino.it