Castello Colonna: da Abbazia a struttura eventi

Il ricordo di un ragazzo degli anni Sessanta, Ciro Ferrigno ne ‘Il racconto del lunedì’

Potrebbe essere un'immagine raffigurante natura e albero
Foto tratta dal diario di Facebook di Ciro Ferrigno

 

Ricordo quel giorno, agli inizi degli anni Sessanta, ero con un nutrito gruppo di ragazzi dell’Oratorio di San Nicola, in escursione sul Monte Vico Alvano. A quei tempi, prima degli incendi che lo hanno stravolto, il Monte era di grande bellezza, con una vegetazione lussureggiante, degna di un Parco Nazionale. Al ritorno, arrivati all’altezza del Castello Colonna, don Antonino Guarracino si fermò per salutare il custode che conosceva e, una parola tira l’altra, chiese a quel signore che ci mostrasse qualche ambiente dell’affascinante maniero; l’anziano custode acconsentì. Quello che ricordo, vagamente, è un’enorme cucina, al piano terra, con un grande focolare, cappe annerite dal fumo, piastrelle di ceramica ai muri, il pozzo e dei pentoloni di rame enormi e, negli angoli, legna accatastata. Ho rivisto cucine simili, viaggiando e visitando conventi e monasteri, certose ed abbazie. Se il custode ci mostrò qualche altra cosa, non lo ricordo, ma in cuor mio ho sempre pensato che quella, recuperata ad uso del Castello, fosse nient’altro che l’immensa cucina dell’Abbazia di San Pietro a Cermenna!

Conosciamo poco o niente della storia secolare di quel Cenobio, nulla è certo, perfino la sua ubicazione, anche se il nome stesso, San Pietro a Cermenna, serve a fugare ogni dubbio; l’Abbazia si trovava all’inizio di Via Cermenna, sulla sella tra i due golfi, in un importante incrocio tra la stradina proveniente dallo Scaricatore e la via citata. Esistono tesi ed ipotesi che vorrebbero il Cenobio altrove, persone del posto affermano che si trovava di fronte a Teresinella o si perdono dietro ad altre convinzioni, la verità è che tutti hanno ragione, vecchie case, oggi ruderi erano di proprietà dei monaci, foresterie, case coloniche, depositi, ma la prima, vera casa non poteva che essere lì dove oggi sorge il Castello.

Negli anni della massima fioritura, l’Abbazia aveva proprietà estesissime, terreni e caseggiati dove la compresenza di lavoratori e famiglie stanziali fece nascere nuove borgate come Petrulo e San Gregorio Magno, luoghi dove i monaci sperimentavano colture suggerite dalla Scuola Medica Salernitana. Da un lato la regola benedettina con l’Ora et Labora, dall’altro l’orecchio teso ai suggerimenti che provenivano da Salerno, all’epoca centro di irradiazione della farmacopea e della ricerca di farmaci e rimedi, pozioni ed erbe medicamentose, tutto rigorosamente naturale.

Col passare dei secoli i monaci di Cermenna si dedicarono anima e corpo alla produzione ed al commercio dei prodotti della terra, l’Abbazia diventò una commenda ed una vera e propria azienda, una scelta che alla lunga si rivelò disastrosa anche per fattori esterni, non ultimo, le frequenti e micidiali scorrerie dei saraceni, dei mauri, dei turchi, ai quali certo non sfuggiva la prosperità di quella comunità monastica. Infatti secondo quanto ci risulta, la massima fioritura durò fino alla metà del Cinquecento, epoca che coincide con il più micidiale infierire delle aggressioni da mare delle terribili orde di saccheggiatori orientali. La casa religiosa andò avanti fino ai primi del Settecento, poi seguì un lungo periodo di abbandono, fino ad andare completamente in rovina. Agli inizi dell’Ottocento Gioacchino Murat espropriò i beni ecclesiastici e ciò che restava dell’Abbazia, con la sua vastissima tenuta, il Monte compreso, passarono alla corona, poi furono venduti alla famiglia Sancez de Luna ed infine intorno al 1830 acquistati da Eduardo Colonna di Paliano Principe di Summonte. I lavori per la costruzione del Castello durarono decenni e si conclusero solo nel 1872. In un secolo e mezzo di storia, il Castello Colonna ha finito per integrarsi magnificamente nel paesaggio che lo circonda, con la torre, i merli, gli archi di tufo e gli infiniti particolari che lo decorano, tra piante secolari e magnifiche fioriture primaverili che, solo in parte, sostituiscono le camelie che circondavano il Castello, formando quasi un piccolo bosco. È un piccolo pezzo di Valle d’Aosta dove, a fare da sfondo al maniero, non sono le cime alpine, ma il nostro Cervino, il Monte Vico Alvano.

Negli ultimi decenni il Castello ha subito radicali trasformazioni che lo hanno reso ospitale e fruibile, inserendolo a pieno titolo in quella valorizzazione per fini turistici. Sempre più di frequente viene scelto per matrimoni, feste e raduni, vi è attivo un rinomato ristorante, ci sono camere per gli ospiti e lo stesso edificio è ufficialmente classificato come “Dimora Storica”. Non so se ci sia più quell’antica cucina, non ho il coraggio di chiederlo, mi farebbe male sapere che è andato tutto perso; era lì che si respirava l’aria dell’Abbazia, che si intuiva la presenza dei benedettini sempre presi dal lavoro e dalla preghiera, era lì che si leggeva una magnifica pagina della nostra storia più antica.