Ciro Ferrigno racconta la storia dei cunicoli di Piano

Il “si dice” nasconde sempre una verità, anche se romanzata e arricchita dalla fantasia del popolino, un po’ come la leggenda che sempre custodisce e tramanda un fondo di verità

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Il “si dice” nasconde sempre una verità, anche se romanzata e arricchita dalla fantasia del popolino, un po’ come la leggenda che sempre custodisce e tramanda un fondo di verità. A Carotto si dice che ci sarebbero dei cunicoli sotterranei che metterebbero in comunicazione Gottola con la chiesa di San Michele ed il centro del paese che oggi corrisponde a Piazza Cota e, dall’altra parte la stessa Gottola con il Palazzo di Sopramare. La tradizione popolare vuole che alcuni cunicoli fossero utilizzati per nascondersi durante le incursioni dei saraceni e per conservare gli agrumi, le noci, l’olio, il vino e la legna destinata ai cantieri navali della Marina.
Che la popolazione abbia provveduto a costruire una rete di cunicoli sotterranei con uno sviluppo di un paio di chilometri, mi sembra una cosa piuttosto fantasiosa. Sarebbe stato un lavoro lungo, costoso e faticosissimo, quasi un percorso da metropolitana ante litteram e senza i moderni mezzi di scavo. Eppure i misteriosi cunicoli sono evocati da tante persone e posso dire con certezza che ne ho sentito parlare fin dall’infanzia, come un mistero trasmesso oralmente di generazione in generazione. Escludendo l’intervento dell’uomo, è possibile fare qualche ipotesi plausibile, che però ci riporta ad epoche assai antiche, tra la preistoria ed il periodo arcaico.
Come ho avuto più volte modo di raccontare, un gruppo appartenente alle popolazioni del Gaudo stanziatosi stabilmente a Trinità nel terzo millennio prima di Cristo, con il naturale aumento della popolazione, ebbe necessità di occupare altro spazio e colonizzò la parte a valle del primitivo insediamento, che corrisponde all’attuale centro cittadino. Andò a vivere nelle grotte naturali, utilizzandole come dimora, creando un piccolo centro abitato un po’ simile alla Matera dei Sassi: grotte e muri di chiusura, delimitazione degli spazi per ogni nucleo familiare.
All’epoca, con molta probabilità, il luogo si presentava come un piccolo vallone, poco profondo, nelle cui pareti laterali si aprivano le grotte suddette e, la cui parte più bassa, letto di un rivo, fungeva da via di comunicazione. Un vallone che, parallelo a quelli ancora esistenti, si estendeva proprio dall’attuale Piazza Cota a San Michele, a Gottola e fino alla zona costiera, oggi occupata dal Palazzo Sopramare.
Con la fondazione di Sorrento, da parte del mitico Liparo, probabilmente la popolazione dovette abbandonare l’abitato arcaico, per spostarsi nella nuova città e, dopo lo spopolamento, la natura avrebbe fatto il resto. Con l’eruzione pliniana del Vesuvio, nel 79 d.C. materiale piroclastico dovette colmare in parte l’antico, poco profondo vallone, dove il rivo, diventato sotterraneo, avrebbe scavato, nei secoli, i leggendari cunicoli.
Cavità percorribili? Non credo, ma certo in più punti riconoscibili, per piccoli tratti esplorate, e le caverne più ampie, certamente utilizzate nei secoli, come vuole la tradizione popolare. Forse qualcosa venne alla luce nella costruzione delle fondamenta di qualche palazzo o durante lo sterro per fini agricoli. La vox populi ha sempre raccontato di un passaggio esistente proprio sotto il Palazzo del Vescovo a Gottola ed ancora i conti tornano, trovandosi questo, sulla linea immaginaria che congiunge San Michele con Gottola ed il Palazzo Sopramare. L’esistenza di altri cunicoli è testimoniata a Mortora e a Sorrento e, come altri affermano, un po’ in tutta la penisola sorrentina.
Sotto i nostri piedi il fascino dell’occulto, del mistero, del prima. Tutto è ipotesi, teoria, supposizione, una sola la verità: l’antichità del popolamento della nostra terra.
Il racconto del lunedì di Ciro Ferrigno
Le foto che accompagnano il racconto sono di Nino Aversa, che ringrazio

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