Don Antonio Santillo, figura ieratica ed uomo di cultura

Ciro Ferrigno narra in ’50 Anni di gite’ quella che fecero a Calvi

Foto tratta dalla pagina Facebook di Ciro Ferrigno

(Fonte Ciro Ferrigno – 50 Anni di gite)

Era stato disponibile, gentile e garbato già dalla prima volta, quando Rita Fois l’aveva contattato telefonicamente per conoscere gli orari di visita alla Concattedrale di Calvi. Poi era stato necessario richiamarlo e aveva finito col concedere un anticipo, sull’orario canonico.

Don Antonio Santillo è un sacerdote avanti negli anni, ottanta o forse più, che ha il dono di essere disponibile ed aperto verso gli altri. Figura ieratica, uomo di cultura, innamorato della propria missione, è il custode impeccabile di una cattedra vescovile tra le più antiche del mondo. Quando entrammo dal grande portone che si apre su ciò che resta di Calvi antica, ebbe momenti di frenetica attività. Corse ad attivare la filodiffusione per farci ascoltare una magnifica Ave Maria, poi, seguito dal sagrestano accese tutte le luci e cominciò ad aprire una per una tutte le porte, compreso il cancello d’ingresso alla cripta, chiuso da una pesante catena con un massiccio lucchetto. Era felice di seguirci con lo sguardo e di mostrarci il tempio romanico in tutta la sua bellezza, dedicato a San Casto, martire già al tempo di Nerone.

Don Antonio ci indicava la statua e le reliquie del Santo, l’ambone, il presepe, la cripta che è di grande bellezza con le preziose colonnine di marmo provenienti forse da ville romane. Ci parlava delle preziose absidi del tempio. Poi quando chiarimmo la provenienza e di essere concittadini di Mons Arturo Aiello, già Vescovo di Teano Calvi, ci portò in sagrestia dove ci sono, in cornici uguali, tutti i volti dei Vescovi che si sono succeduti nella diocesi dal tempo dei tempi e per ultimo: Arcturus Aiello.

Don Antonio Santillo, con la semplicità che le è propria è il custode di una storia antica, non una Cattedrale nel deserto, ma viva tra gli ulivi della vecchia Calvi, dove un viottolo in terra battuta congiunge l’antico Seminario, la dogana borbonica e il Castello che tanto somiglia al Maschio Angioino di Napoli. Poco distanti gli scavi di Cales e in mezzo l’antica Casilina che da Capua Vetere porta a Roma, da duemila anni.

Quando stavamo per andare via le campane cominciarono a suonare a festa. Era il modo di salutarci del vecchio Parroco: “Le campane suonano a festa per voi” ci disse. Un momento di grande commozione, una forte emozione, un episodio indimenticabile e certamente un dono prezioso da portare per sempre nel cuore.