Eredi e custodi, lo scalo dello Scaricatore

Ciro Ferrigno ‘Il racconto del lunedì’ ci parla di esso come punto di sbarco quando non esisteva la strada che collegava la penisola sorrentina con Castellammare di Stabia e della Madonna del Rosario con l’Arciconfraternita dei Pellegrini e Convalescenti

Potrebbe essere un'immagine raffigurante spazio al chiuso
Foto tratta dal diario di Facebook di Ciro Ferrigno

Oggigiorno quanto più si allargano gli orizzonti, tanto più ci appare piccola la nostra terra, la penisola sorrentina, che è un fazzoletto di terra che si allunga nel Tirreno, saldato alle aspre montagne di calcare che lo dividono dal territorio di Vico Equense. Montagne che un tempo dovevano sembrare insormontabili, tanto che la strada fu tracciata dai Borbone ed aperta solo intorno al 1844. Montagne dure, poco adatte ad essere addomesticate con vie e sentieri, faticose da superare, tanto da far sentire gli abitanti della penisola quasi isolani e spingerli a mare con la costruzione di barche, fino alla nascita di veri e propri cantieri navali, giunti all’epopea tra Sette e Ottocento, come fiore all’occhiello della marineria borbonica. La penisola era di fatto un’isola con due punti sensibili. Il primo, gli scogli abitati dalle Sirene che, come racconta il mito, con il loro canto trascinavano a fondo i naviganti. Il mito partendo da un canto dolcissimo, ammaliatore, inebriante, comunicava un presagio di morte. L’altro punto critico era il Promontorium Minervae o Punta della Campanella, luogo ventoso e soggetto a forti correnti e onde anomali. La presenza di un mito intriso di messaggi letali e di un promontorio tanto sacro quanto pericoloso, portò all’utilizzo di un approdo, lo Scaricatore, che forse non aveva nessuna caratteristica per esserlo. Difficilmente raggiungibile dai Colli, posto alla mercé del mare aperto e del vento, pur tuttavia doveva apparire come una sponda sicura o, per dirla con parole semplici, il meno peggio. C’è da considerare, però, che nel corso dei secoli il luogo ha subito, sicuramente, tante modificazioni, forse pure a seguito del devastante maremoto del 1343.

È difficile immaginare quella zona come poteva presentarsi migliaia di anni fa e ricostruire mentalmente una via di traffico tra i due golfi. Lo Scaricatore fu luogo di imbarco e di sbarco per commercianti e pescatori, monaci e pellegrini, santi e gente di malaffare, in una direttrice che col tempo prese una nuova fisionomia: al posto degli antichi ninfei i monaci basiliani costruirono cellette ed oratori. L’arrivo dei monaci dall’Oriente spianò la strada alle icone ed alle statue di Madonne giunte nel periodo iconoclasta, destinate a percorrere lo stesso sentiero, sulle orme di Pietro. Nel 1080 sorse l’Abbazia di San Pietro, Via Cermenna diventò luogo di transito e fiere, si onoravano la Madonna di Cerignano e San Pietro in un crescendo di attività che portò l’Abbazia stessa ad essere più un luogo di lavoro che di preghiera e cultura. L’Abbazia, col passare dei secoli, finì col perdere le antiche caratteristiche di centro di irradiazione della Regola Benedettina e della cultura della Scuola Medica Salernitana e diventò un’azienda di produzione. Venuta a mancare l’accoglienza abbaziale, occorreva provvedere ai pellegrini che avevano bisogno di ospitalità e cure, di un letto e di attenzioni e nacque l’Arciconfraternita dei Pellegrini e Convalescenti che è tanto antica quanto Venerabile, perché surrogò in gran parte la spiritualità e le nobili finalità filantropiche dell’Abbazia stessa, di quel cenobio che, nel punto di massima espansione, già aveva in sé il germe della decadenza e del declino. L’Abbazia scomparve, come liquefatta, o inghiottita dalla terra, ma lasciò un’eredità tangibile, concreta, il quadro della Madonna del Rosario che trovò la collocazione più naturale nella chiesa della Santissima Trinità. Con il trasferimento della pala miracolosa, un periodo di storia si chiuse, lo Scaricatore lasciò spazio agli altri approdi, mutò la geografia e l’antichissima Sant’Agostino, nuova Trinità, finì per riconquistare la centralità che le apparteneva dalla notte dei tempi. L’Arciconfraternita dei Rossi e la venerata Madonna del Rosario sono quanto resta di un mondo antico, mai veramente studiato ed analizzato a fondo e forse per questo assai denso di fascino. Sono vecchie storie, antiche memorie delle quali siamo inconsapevoli eredi e custodi, quando ripetiamo una gestualità fatta di riti, feste e tradizioni, colture e ricette, rimedi e modi di dire, che ci giungono da molto lontano.