Il bigliettino dei sogni, le arance e le ragazze

 

Ciro Ferrigno ne ‘Il racconto de lunedì’ parla che  nella seconda metà dell’Ottocento la coltivazione degli agrumi diventò prevalente in penisola, così come diventò fiorente il commercio internazionale degli agrumi ed in particolare arance e limoni che le navi costruite nei nostri cantieri portavano anche in luoghi remoti, come la Gran Bretagna, il Nord Europa e, principalmente l’America del Nord

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Foto del Sign. Antonino De Angelis tratta dal diario di Facebook di Ciro Ferrigno

Nella seconda metà dell’Ottocento la coltivazione degli agrumi diventò prevalente in penisola, a discapito di tanti altri alberi ed in particolare dei gelsi, utili per la produzione della seta, che andava scemando. Diventò fiorente il commercio internazionale degli agrumi ed in particolare arance e limoni che le navi costruite nei nostri cantieri portavano anche in luoghi remoti, come la Gran Bretagna, il Nord Europa e, principalmente l’America del Nord. Le arance, selezionate per diametro, venivano avvolte ad una ad una nella carta velina dove era stampato il nome dell’esportatore con l’indirizzo e la provenienza. Spesso la carta era abbellita da un’immagine, quasi sempre con un forte richiamo al nostro paesaggio ed alla sua struggente bellezza.

Il confezionamento delle arance avveniva in appositi capannoni, dove decine e decine di ragazze lavoravano incessantemente, principalmente nei periodi di maggior produzione, quando si avvicinava il giorno stabilito per la partenza del bastimento e nei periodi dell’anno scanditi dalle grandi feste, come Natale e Pasqua. Erano magazzini dove il chiacchierio era incontenibile e si quietava solo allorquando compariva sull’uscio il datore di lavoro o un suo diretto collaboratore. Erano gli anni in cui si coltivava il sogno americano, tanti partivano verso gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda, l’Argentina e quelle arance diventavano tante volte messaggere di baci ed abbracci, di lacrime e sospiri. Proprio in quegli anni alcune ragazze inventarono una iniziativa bizzarra, figlia dei sogni più rosa. Introducevano, furtivamente nella cassetta delle arance pronte per la spedizione, un bigliettino, destinato ad un eventuale principe azzurro, con i propri dati: nome, cognome, età, indirizzo, che avrebbe generato sogni e speranze. Non mi risulta che sia mai arrivato un innamorato dall’America, ma una manciata di dollari, questo si, un omaggio da un cuore lontano e generoso, sensibile ai sogni della gioventù.

La nostra terra era un solo, immenso giardino di agrumi e in primavera il profumo diventava incontenibile. Chiudiamo gli occhi e con la fantasia mettiamo via tutti i palazzi costruiti negli ultimi cent’anni, immaginiamo al loro posto alberi di arance e limoni ed il gioco è fatto. Cos’era? Il giardino dell’Eden, o quello di Armida, o forse quello delle favole che cominciano tutte con il c’era una volta. Un universo troppo bello per essere vero, a metà strada tra realtà e fantasia, una striscia di terra sospesa nell’azzurro intenso, ma troppo delicata per poter sopravvivere e sfidare le insidie del tempo. A maggio il profumo delle zagare si univa a quello delle rose, dei gelsomini, della glicine, dei gigli di Sant’Antonio ed era l’apoteosi della bellezza, che rendeva superflua l’idea del paradiso… Il paradiso? Noi ce l’avevamo, i nostri nonni ci vivevano dentro, senza rendersene conto, perché non facevano confronti con altre realtà e non sentivano la necessità di coniugare progresso e conservazione. Che Dio perdoni quanti hanno lasciato che il progresso stesso diventasse un anatema, la maledizione per una lenta e progressiva distruzione del nostro Eden.

Allora curiamo gli agrumeti che ci sono rimasti, teniamoli come retaggio di un tempo che non può più tornare e custodiamoli con la cura e l’amore che meritano le vecchie glorie. Solo così a maggio l’aria avrà ancora quel profumo, dono di Dio, che fa sognare, pregare, sperare, amare.

Le vecchie fotografie pubblicate sono del Sign. Antonino De Angelis che ringrazio. (Piano di Sorrento. Città, Comunità, Territorio).