“IL CASO MELONI. PER CHI E PERCHÉ LA PREMIER IN PECTORE COSTITUISCE UNA MINACCIA? L’INTERESSE NAZIONALE E LA QUESTIONE FEMMINILE. LO SPARTIACQUE TRA VECCHIO E NUOVO”

Per i pochi (o i molti!) che avessero avuto la pazienza (e/o la ventura!) di leggere, senza i deformanti paraocchi di trapassate ideologie politiche, condannate e seppellite dalla Storia, la mia recensione (giugno 2021) dell’autobiografia (o, meglio, delle confessioni sulle sue origini formative) di Giorgia Meloni, dal titolo “Io sono Giorgia. Le mie radici, le mie idee”, per i “Saggi italiani” della Rizzoli, uscita nel maggio 2021, non dovrebbe costituire una sorpresa se, dopo il suo recente successo elettorale

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Foto tratta dalla pagina di Facebook di Giorgia Meloni

di Raffaele Lauro, Segretario Generale di Unimpresa

PREMESSA

Per i pochi (o i molti!) che avessero avuto la pazienza (e/o la ventura!) di leggere, senza i deformanti paraocchi di trapassate ideologie politiche, condannate e seppellite dalla Storia, la mia recensione (giugno 2021) dell’autobiografia (o, meglio, delle confessioni sulle sue origini formative) di Giorgia Meloni, dal titolo “Io sono Giorgia. Le mie radici, le mie idee”, per i “Saggi italiani” della Rizzoli, uscita nel maggio 2021, non dovrebbe costituire una sorpresa se, dopo il suo recente successo elettorale, unica tra tutti gli altri sconfitti, e alla vigilia di scelte politico-istituzionali che la impegnano in prima persona, come protagonista, nella formazione del nuovo governo della XIX legislatura repubblicana, mi ponga pubblicamente un interrogativo sul “Caso Meloni”. Per chi e perché la premier in pectore costituisce una minaccia? Lessi e rilessi quel libro di 336 pagine e ne scrissi, preconizzandone il successo, per un mio bisogno di verità e di onestà intellettuale, non risparmiando di porre degli interrogativi scomodi sulle obbligate cesure verso il passato, ma riconoscendo lealmente, senza abdicare alla mia differente formazione culturale, filosofica e politico-istituzionale, il valore, morale e ideale, di quel manifesto della sua vita, definendolo “un memorandum di se stessa e, a memoria futura, per se stessa, un atto di lealtà e di trasparenza”. In poche parole, un atto di coraggio per sottrarre la sua immagine di donna, impegnata in politica, al linciaggio organizzato da altre donne, magari rose dall’invidia, tipica delle femministe arrabbiate, delle attricette cocainomani e delle scrittrici militanti, che le sparavano addosso giudizi sommari, ingiustificati e lesivi della dignità personale, e che non avrebbero esitato, quelle pseudo paladine di tutte le (loro) libertà, magari in nome della nostra costituzione democratica, di mandare, in perfetto stile nazista, al rogo il libro della Meloni. Donne contro donne! Non mancando il supporto, tempestivo e coordinato, ampliato sul piano mediatico dal giornalismo di appartenenza partitica, della scomposta reazione staliniana di intellettuali sedicenti democratici, di docenti universitari para marxisti, di librai post comunisti e di costituzionalisti di area. Dal giugno 2021 ad oggi, avendo analizzato “criticamente” ogni dichiarazione pubblica della Meloni, posso testimoniare che, finora, dal mio punto di vista, non offuscato da preconcetti, quel memorandum non l’ha mai dimenticato, né l’ha mai tradito. Al contrario, quel linciaggio, purtroppo, è continuato, anzi si è incarognito nel corso dei mesi, con tentativi di delegittimazione della sua leadership e addirittura di mostrificazione della sua persona, raggiungendo livelli di infamia inimmaginabili, nel corso di una squallida campagna elettorale, man mano che i sondaggi ne preannunziavano l’imminente vittoria. E continua, senza alcun ritegno e rispetto delle regole democratiche, dopo i risultati delle urne, da parte degli sconfitti, inviperiti, falliti e frustati, quasi che quella vittoria della Meloni sia stata derubata, con un sortilegio, e non sia la limpida manifestazione della volontà popolare, liberamente espressa. Gli sconfitti, invece di interrogarsi seriamente sulla loro crisi di identità e sulla rottura del loro rapporto di fiducia con l’elettorato, preferiscono continuare ad alimentare, come manovra di distrazione, una martellante campagna di odio strumentale, anche verso cariche istituzionali, capace di attizzare, come in un triste passato, focolai di terrorismo politico e di anarchia. Così i mostri rischiano di ritornare. Purtroppo i segnali non mancano, in quanto la situazione sta raggiungendo livelli di guardia. Nonostante questo clima di assedio, la coerenza della Meloni al suo memorandum del 2021 non ha conosciuto sosta, testimoniata dalle sue recenti prese di posizione post elettorali, sulla politica estera atlantica e di sostegno alla guerra di liberazione dell’Ucraina, sulla tutela assoluta dell’interesse nazionale, sull’etica della responsabilità, inderogabile in tempi difficili, e sulla formazione di un governo non condizionato dai compromessi al ribasso del passato, ma di alto profilo, per competenza e trasparenza dei responsabili dei dicasteri. Questa linearità non ha messo in allarme e mobilitato soltanto i soliti arcinemici ideologici della sinistra, che vedono in lei un potenziale dittatore fascista, ma anche alleati, o pseudo tali, che si sentono minacciati nei loro interessi personali e nelle vecchie logiche di spartizioni di potere, pro quota, del tutto incuranti delle emergenze economiche e sociali, da affrontare a breve.

Si potrebbe già intuire tanto il “per chi”, quanto il “perché”, la premier in pectore costituisca una minaccia. Per evitare equivoci, tuttavia, e per tentare di capire fino in fondo gli ostacoli disseminati sul suo cammino, necessita approfondire, in modo radicale, due questioni: la tutela dell’interesse nazionale, nel tempo presente, e cosa significhi la sua figura politica di donna per la questione femminile in Italia.

  1. L’INTERESSE NAZIONALE E L’INTERESSE GENERALE

Basterebbe alla nostra decadente classe politica la lettura o, nel migliore dei casi, la rilettura dell’insostituibile trattato, in due volumi (1835, 1840), di Alexis de Tocqueville, “La Democrazia in America”, per comprendere, fino in fondo, accettare e tutelare, unitariamente, come ceto politico, il concetto basilare di interesse nazionale? Pur riconoscendo all’autorevole studioso, maestro insuperato nella formazione di generazioni di democratici, l’aver individuato, in quella nozione, la somma dei valori e dei princìpi, che tengono insieme una nazione, legati ai sentimenti di appartenenza di un popolo, non sarebbe sufficiente. Non basterebbe, in quanto quel concetto di interesse nazionale va attualizzato al tempo presente, perché soggetto al continuo mutare non solo dei sentimenti di un popolo, ma della stessa funzione dello Stato, nell’esercizio della sovranità, anch’essa in evoluzione, dall’800 a oggi. La funzione dello Stato non è più quella definita nei tre trattati di Wesfalia (1648), la cui dimensione internazionale, nel nuovo ordine mondiale, veniva esercitata soltanto mediante rapporti bilaterali ed era fondata su quattro pilastri: il diritto, l’economia, il potenziale militare e la diplomazia. E lo Stato italiano non è più neppure quello uscito dalle due guerre mondiali, per cui, nel suo assetto e nella sua funzione, non solo risulta ancorato saldamente alla Costituzione repubblicana del 1948 e alle leggi costituzionali successive, ma al quadro internazionale attuale di riferimento: istituzionale, geopolitico e geoeconomico. Se prima, nell’esercizio della sovranità, lo Stato italiano godeva, nei propri limiti spaziali, della massima libertà di scelta politico-amministrativa, oggi deve tenere conto dei limiti imposti dal diritto internazionale, dalle alleanze militari e dai trattati sottoscritti, in ambito europeo, cioè nell’Unione. Senza la cooperazione, quindi, in questi ben definiti ambiti, questioni ambientali e, quelle attualissime, dell’energia, delle migrazioni, del terrorismo e del cyber, nonché dei conflitti bellici alle porte di casa, come la guerra russo-ucraina, non sarebbero approcciabili e, benché mai, risolvibili. Gli studiosi, quindi, fanno riferimento al concetto di “resilienza istituzionale” nella individuazione, nell’affermazione e nella salvaguardia dell’interesse nazionale, compito che spetta, nel confronto elettorale, ai partiti politici e alle leadership che assumono la guida dell’esecutivo e la responsabilità di governare, in base al mandato ricevuto dal corpo elettorale. Sussistono, tuttavia, e non sono modificabili, al di là delle diverse prospettive partitiche, che si confrontano, nella dialettica democratica, valori e princìpi che albergano nel concetto di interesse nazionale, che ricomprende quello di interesse generale della comunità. Sono le costanti di un percorso storico che, pur nelle cangianti concezioni politiche e partitiche, non possono essere soggetti a manipolazioni: il sentimento unitario della nazione, dal 1861 a oggi, come valore costituente della sovranità, a garanzia della inscindibile unità nazionale e della libertà dei cittadini. Il fondamento della sovranità risiede, quindi, nell’unità delle istituzioni statali e nella libertà dei cittadini. La democrazia si basa sulle procedure che assicurano la partecipazione dei cittadini, come singoli e nelle forme associate, tramite i partiti, alla vita politica del paese: la sostanza di una democrazia vera e non apparente. Quanto questa inoppugnabile considerazione sia stata inattuata, persino vilipesa, prima, durante e dopo la campagna elettorale, è sotto gli occhi di tutti. Misconoscere i risultati elettorali rappresenta, moralmente prima che politicamente, una mancanza di rispetto delle regole democratiche. L’unica leader che ha posto l’interesse nazionale e l’interesse generale a fondamento della sua visione del futuro del paese e della sua proposta di riforma costituzionale, basata sul rafforzamento ormai indifferibile del ruolo di chi è chiamato a guidare il governo, è stata la presidente di Fratelli d’Italia. Subito si è levata, da parte degli avversari, l’accusa di sovranismo e di anticostituzionalismo. Una riforma costituzionale siffatta, nel rispetto dei princìpi e delle libertà costituzionali, farebbe piazza pulita del consociativismo, che ha portato alla rovina la prima repubblica, e della demagogia populista, che ha portato alla crisi della democrazia rappresentativa, dell’identità dei partiti e della rappresentanza parlamentare. Ecco chi sono coloro che si sentono minacciati dalla premier in pectore e perché reagiscono in maniera sconsiderata: i beneficiari storici del consociativismo del passato e del populismo demagogico del presente.

  1. I PARTITI E LA QUESTIONE FEMMINILE

Se si esaminano attentamente le proposte, sulla questione femminile in Italia, formulate nei programmi, con i quali i partiti politici italiani, nessuno escluso, si sono presentati alle elezioni politiche del settembre scorso, si rileva, pur riconoscendo il valore di esse, alcune trasversali altre no, in tema di violenza di genere, di istruzione, di salute, di lavoro e di pari opportunità, un senso di parzialità, nelle azioni, nei mezzi e nei modi, che conferma come la questione femminile sia ancora considerata non centrale, ma del tutto marginale, quasi residuale. Non si può negare, tuttavia, che la presenza delle donne in parlamento e nel governo sia aumentata, anche al vertice delle due Camere e della Corte Costituzionale, nonché nei consigli e nelle giunte regionali e comunali. Permane, comunque, nelle oligarchie dei partiti, una disuguaglianza di genere, che mortifica e marginalizza il ruolo della donna impegnata in politica. Il problema, quindi, sussiste, in quanto non riguarda più l’inclusività politica, reale o di mera facciata, ma i ruoli di potere reale e di leadership, che latitano. Alcuni sociologi della politica individuano una serie di concause: l’assenza di figure guida, cui fare riferimento; il ruolo ancillare, anche nei partiti cosiddetti progressisti, assegnato alle donne che vengono cooptate; le limitate aspettative di carriera e di prospettive; il pregiudizio dell’opinione pubblica sulla presunta scarsa competenza professionale e politica delle donne rispetto agli uomini. E, da ultimo, il poco tempo a disposizione tra famiglia e occupazione lavorativa. Anche le misure legislative introdotte, con la doppia preferenza, non hanno conseguito i risultati attesi, in quanto il 60% degli elettori non ne è debitamente informato. In ogni caso, queste misure sono parziali e non idonee a conferire alle donne impegnate in politica un potere reale e immediato. Alcuni studiosi della questione continuano ad affermare che le donne preferiscono dedicare il loro tempo alla salute, alla famiglia e al tempo libero, sottintendendo anche, subdolamente, una loro limitata idoneità ad assumere ruoli di alta responsabilità. Mi sia consentito di dissentire profondamente da queste miopi e strumentali considerazioni, anche per la mia esperienza istituzionale, vissuta ai vertici del ministero dell’Interno. Al contrario, ho avuto modo di riscontrare nelle figure femminili, rispetto agli uomini in carriera, maggiore spirito collaborativo e di sacrificio, maggiore sensibilità e concretezza, maggiore equilibrio e trasparenza nelle scelte, maggiore determinazione nella lotta alla illegalità e all’inquinamento criminale delle pubbliche istituzioni, nonché una maggiore impermeabilità alla corruzione. In poche parole, siamo lontani ancora anni luce dalla parità di genere, dopo più di un settantennio di vita democratica. D’altro canto, i dati parlano chiaro! Nessuna donna, finora, è stata eletta alla suprema magistratura dello Stato o a ricoprire la carica di presidente del Consiglio dei Ministri. Restringendo l’analisi alle attività di governo, per ragioni di sintesi, nei 64 governi che si sono succeduti dalla I alla XVII legislatura, 13 governi sono stati composti solo da uomini. Soltanto dal 1983, con il governo Fanfani V, la presenza di donne ai vertici di dicasteri è diventata costante, ancorché minoritaria e, talvolta, puramente decorativa. Su 1500 incarichi di ministro, le donne ne hanno ricoperti 78, più due interim, dei quali ben 38 senza portafoglio e prevalentemente nei settori sociali, dell’istruzione, della sanità e delle pari opportunità. Una sorta di riserva indiana! Poco o niente è cambiato con i tre governi della XVIII legislatura: nel primo 6 donne, su 19 ministri, di cui 4 senza portafoglio; nel secondo, 8 donne, su 23 ministri, di cui poche con portafoglio; nel terzo, ancora 8 donne, su 23 ministri, di cui la maggioranza sempre senza portafoglio. Le eccezioni dell’Interno e della Giustizia, pur lodevoli, non cambiano il giudizio su uno scenario femminile, del tutto minoritario. Allo stesso modo, non muta il giudizio sulle ultime candidature alle politiche, nonché sulle donne elette in parlamento! Ebbene, su questa waterloo delle battaglie femministe di sinistra e dei movimenti femminili, all’interno di tutti i partiti, nessuno escluso, irrompe la figura politica di Giorgia Meloni, fondatrice del suo movimento politico, che guida, e leader incontrastata e riconosciuta da tutta la dirigenza del suo partito. Determina, nei fatti, una svolta storica nella politica italiana, che impatta sulla questione femminile e mette all’angolo, vincendo le elezioni, non solo i vertici alleati, ma anche di quei partiti cosiddetti progressisti, che, in decenni di potere, hanno concesso poche briciole alle loro compagne militanti. La reazione è stata e continua a essere furibonda, con la mobilitazione generale dei media fiancheggiatori e delle suffragette frustate, per distruggere l’immagine della rivale, come se avesse usurpato il suo ruolo di leadership, conquistato, con tenacia e coerenza, negli anni o avesse derubato, nottetempo, la vittoria nelle urne. Donne contro donna, di nuovo! Senza pudore. Se nei prossimi giorni la premier in pectore riuscirà a formare un governo, all’altezza della difficile ora, mantenendo gli impegni pubblicamente assunti e rispettando quel memorandum del 2021, nulla sarà più come prima, almeno per la questione femminile. Non credo sia più necessario chiarire per chi e perché la premier in pectore costituisca una minaccia!

CONCLUSIONI: LO SPARTIACQUE TRA VECCHIO E NUOVO

Chi analizza la realtà, senza essere dominato dagli effetti stranianti dei funghi allucinogeni dei vecchi ideologismi, ha la piena consapevolezza di quale sia il compito immane che graverà sulle spalle del nuovo governo e di chi sarà chiamato a guidarlo, nell’affrontare, fin dai primi atti, senza un attimo di respiro, le gravissime emergenze che incombono sul nostro paese, sulle famiglie e sulle imprese, oramai allo stremo. A partire dal caro energia, dalle bollette, dal carovita, dall’inflazione, dalla recessione, dalla legge di bilancio, dal debito pubblico, dal Pnrr, dalle riforme strutturali e dalla riforma della Costituzione. Serviranno il sacro rispetto per gli impegni assunti, la competenza dei membri del governo, la compattezza della maggioranza, la cessazione della stagione degli annunci a favore dei fatti e la forza morale, una grande forza morale, di resistere agli attacchi che non finiranno come d’incanto, tenendo sempre presente, ora più che mai, la stella polare dell’interesse nazionale e di quello generale dell’Italia. Un augurio sincero affinché il piccolo Davide in gonnella possa vincere sul gigante Golia del baratro, guidando, con rigore, la barca nazionale fuori dalla tempesta, diventando così lo spartiacque tra vecchio e nuovo! Continuerò a seguire la rotta, senza fallaci illusioni e pronto a rilevare contraddizioni e cadute, ma nutro la speranza che si proceda con successo, per il nostro paese e per le giovani generazioni.