IL DIALETTO, IL LINGUAGGIO DEI NOSTRI ANTICHI

Ciro Ferrigno ne ‘Il racconto del lunedì’ si immerge nella festa di San Michele del 1822, dove la gente parlava una lingua napoletana pura che oggi è scomparsa

Foto tratta dalla pagina di Facebook di Ciro Ferrigno

Oggi è il 29 settembre 1822 e mi trovo a Carotto per la festa di San Michele. Le bancarelle sono semplici, banchi pieni di ogni ben di Dio e, a copertura, grossi tendoni bianchi di stoffa. Non mi interessa tanto ciò che vendono e comprano, ma sono venuto per ascoltare che linguaggio usavano i miei concittadini duecento anni fa. La cosa che subito salta in evidenza è l’uso del dialetto; non è come ora che ci esprimiamo metà in vernacolo e metà in italiano, ma questa gente parla un dialetto puro, incontaminato, armonioso come nelle canzoni antiche o nelle poesie dei grandi poeti napoletani dell’Ottocento. È una lingua che non riascolteremo mai più, è andata via col tempo e con le generazioni che sono passate e ancora non riesco a capire quando si decideranno a istituire presso la Federico II una facoltà di Lingua e Letteratura Napoletana.

La curiosità è tanta e, per ascoltarli, faccio finta di interessarmi ai prodotti in esposizione. Non c’è plastica, tutto è all’aria aperta e chi vuole tocca ogni cosa, compreso il cibo. Se ho capito bene, potrei mangiare un frutto toccato e palpeggiato almeno da dieci persone! Mi trovo presso la bancarella di una vecchietta che vende torrone e dolciumi e mi metto ad ascoltare, ma quante parole non le capisco!… Aceno, valanzone, allesso, arrassusia, verola, austegno, cannarutizia, cardone, Neviorco, cato, fajella, franfellicco, granurinio, mummera, ‘nferta, panesiglio, puontece, saravolla, scagliuozzo, sperì, spugnillo, turtaniello, giusto per citarne alcune. È un modo di parlare pastoso, quasi un canto, compro un cuppetiello di verole perché ho capito che sono le castagne arrostite. La vecchietta mi sorride e nei suoi occhi c’è la luce radiosa e semplice di un mondo antico.

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Foto tratta dalla pagina di Facebook di Ciro Ferrigno

Poco distante c’è il pescatore con le tinozze color del mare, sembra uscito dal presepe napoletano, col cappello frigio e i pantaloni a tre quarti, è a piedi scalzi, come se fosse sulla sabbia e mi guarda con due occhi da furfante. Io ascolto con attenzione e prendo nota di altre parole che oggi non si usano più: Ammaro, caparraiso, carnuozzo, cetilena, chianella, cortece, cucella, cuoppo, fonta, lanza, mazzeno, mmuccatura, palella, pezzale, scama, scarammaturo, scivo, scurmo, spasella, tiella, tutarara, tutariello, vullariello. Penso a questa parlata che riecheggiava nelle nostre marine, ai pescatori del passato, ai sacrifici nell’affrontare i pericoli del mare in tempesta e alla civiltà dei nostri uomini che con grande abilità hanno saputo trarre ricchezza dall’acqua salata! Su questo banco c’è il dono di un mare ancora puro e incontaminato!

Sono riuscito a scrivere alcune parole, tra le tante di un dialetto arcaico, a tratti incomprensibile, altre mi sono sfuggite. L’unica possibilità di conoscerne il senso è consultare il vocabolarietto che si trova nelle ultime pagine di ‘O paese mio, il poemetto, capolavoro di Francesco Saverio Mollo. Non conosco altre possibilità per tradurre una parola dal dialetto locale all’italiano.

Mentre progetto di andar via vedo la bancarella del verduraio, frutta e verdura, che bella coi suoi mille colori, per non parlare del profumo! Ceste colme d’uva da tavola e fichi neri da far venire l’acquolina in bocca a chiunque. Mi metto in ascolto di questo contadino e dai saluti apprendo che si chiama Rafele ‘o Biondo. Ora dà la voce, gridando forte: “Venite, currite: a San Michele, ‘e nnuce sott’’o pere!”…“So, nuce paisane, appena l’hanno vattuto ‘o pere ‘e noce ‘e Caccaviello a Vagnulo!” ne vorrei acquistare, ma come faccio? Qui si paga in moneta borbonica! La pubblica o 3 tornesi, il grano o 12 cavalli, il 9 cavalli, il tornese o 6 cavalli, il 4 cavalli ed il 3 cavalli. L’Euro non lo conoscono ed io ho in tasca solo un tornese da sei cavalli! E quante parole incomprensibili che ascolto anche qui, mi ci vorrebbe l’interprete!  Ammunita, arresio, Buonusario, cannarutizia, carusella, chianta, defrisco, fescena, fugliata, levara, menesta, mungella, ‘ncugnà, parzunaro, pezza, prevulella, rammero, ruotolo, sarvaggiola, sciacquitto, sciavechiello, sciuscella, spasiello, spugnillo, traino, valanzone, vavana…

Ora devo andare via, devo tornare nel mio tempo! Di questa esperienza porto con me un bagaglio di parole dimenticate, ma principalmente quel senso di semplicità di un mondo antico, la purezza dell’aria, la genuinità delle cose e lo scintillare degli occhi della vecchietta delle castagne, del pescatore e di Rafele ‘o Biondo. Gente onesta e laboriosa, contenta della propria condizione e col sorriso sulle labbra. Che bel modo di vivere! Noi veniamo da loro e da loro dobbiamo tornare!