La domenica delle Palme, la benedizione solenne dei rami d’ulivo

Ciro Ferrigno narra i ricordi di quella domenica che da inizio alla settimana Santa

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Foto tratta dal diario di Facebook di Ciro Ferrigno

Quando il sacerdote dava inizio alla solenne benedizione, tutti alzavano i rami d’ulivo, su, in alto, nell’anelito di intercettare quelle goccioline d’acqua benedetta e tutto intorno c’era un fremito, come quando il vento forte scuote e piega i rami degli ulivi e li trasforma in onde argentate o in un mare verde in tempesta. Negli anni Sessanta c’era la processione intorno alla Basilica e noi del coro eseguivamo i due mottetti: “Pueri Haebreorum portantes ramos olivarum” e “Gloria laus et honor tibi sit”. Lo scampanio festoso si univa al brusio della folla assembrata, volo di uccelli e tanta aria di festa, quella festa che è falsa perché è solo il preludio alla morte di Cristo. Infatti la Domenica delle Palme segna l’inizio della Settimana Santa con la prima lettura del Passo, ossia quella parte del Vangelo che descrive dettagliatamente il processo, la condanna e la morte di Cristo.

Gesù fu accolto trionfalmente a Gerusalemme con palme e rami d’ulivo come il re del popolo, l’umile sovrano in groppa ad un asinello. Ricordo chiaramente tra i rami al vento anche le tante palme di confetti, una gentile tradizione della nostra terra e l’aria sapeva di zucchero e cannella. Fiori, cestini e rametti di confetti per le bambine e frasche di ulivo con piccoli caciocavalli e nastrini colorati per i maschietti. Un tripudio di colori e profumi nell’aria della primavera ancora acerba, capace di sferzate di vento freddo, nuvoloni e talvolta anche pioggia battente.

In quegli anni intorno alla chiesa non c’erano molti palazzi e dai giardini facevano capolino alberi fioriti: mandorli, ciliegi e peschi color rosa, sui muri di tufo crescevano fresie spontanee profumatissime. La Pasqua delle Palme è sempre stata una festa bella quanto breve, effimera. Nella Congrega si lucidavano gli argenti, si distribuivano le vesti, la stessa cosa nella sede della Morte ed Orazione, che all’epoca si trovava nella vecchia Granpiazza. Un gran da fare, certe volte fino a tarda sera, per le prove degli Inni e del Miserere. Ma noi che cantavamo nel coro di San Michele non potevamo partecipare al vecchio Miserere, don Antonino non voleva, diceva che quel modo di cantare ci rovinava la voce. Infatti la prima volta che vi feci parte fu quando fu introdotto quello di Verdi, penso nel ’65 o ’66, sotto la direzione del M° Michele Attardi.

Adesso che torna la Pasqua delle Palme, abbiamo bisogno di ricreare intorno a noi quell’aria di festa che abbiamo smarrita!