La falsa cupola del Saraceni e l’interrogativo sulla datazione

Ciro Ferrigno parla ne ‘Il racconto de lunedì’ che il terremoto del 6 giugno 1688 con epicentro nel Sannio beneventano, di potenza enorme, addirittura dell’undicesimo grado della Scala Mercalli, danneggiò in modo grave l’antica chiesa di San Michele ed in particolare crollarono il campanile e la cupola

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Foto tratta dal diario di Facebook di Ciro Ferrigno

Il terremoto del 6 giugno 1688 con epicentro nel Sannio beneventano, di potenza enorme, addirittura dell’undicesimo grado della Scala Mercalli, danneggiò in modo grave l’antica chiesa di San Michele ed in particolare crollarono il campanile e la cupola ricoperta di piastrelle maiolicate di colore giallo e verde. Per la presenza di un parroco di grande levatura morale, risoluto e pragmatico, don Renato Mastellone, l’anno seguente il campanile era stato ricostruito e già funzionavano le nuove campane, non così la cupola, che non fu riedificata. Ci viene spontaneo chiederci il perché.

Bisogna escludere categoricamente la mancanza di fondi. La chiesa, infatti, fu sottoposta ad un lungo intervento per stabilizzarne la struttura e solo dopo si passò alla fase degli abbellimenti. Fu commissionata alla Scuola del Bernini la costosissima balaustra di marmo con gli angeli dell’Antonini, si costruì il tempietto e fu scolpita la nuova statua dell’Arcangelo. Furono lavori che costarono un pozzo di soldi, ma non si provvide alla ricostruzione della cupola. Secondo il mio parere, l’idea di tale rifacimento fu scartata in considerazione della genesi del tempio. Infatti San Michele, nel Cinquecento venne fuori dalla somma di tre edifici preesistenti: Santa Maria di Monserrato, Santa Maria della Neve e San Michele, quest’ultimo corrispondente grosso modo all’attuale presbiterio, già tempio di origine greco-romana, dedicato a Minerva. Quindi un insieme di strutture murarie di epoche diverse, fatte e rifatte nel corso dei secoli, in un territorio soggetto a frequenti eventi sismici. Gli architetti dell’epoca valutarono per prudenza e per motivi di sicurezza, di non appesantire le vetuste strutture murarie con il peso di una nuova cupola.

La decisione fu quella di collocare nel cerchio vuoto della cupola crollata una tela, con la riproduzione dello stato del luogo prima del crollo. L’opera fu affidata al pittore Francesco Saraceni, considerato uno dei più bravi per le prospettive e ottimo disegnatore di architetture. Originario di Roma, dove era nato intorno al 1665, aveva già lavorato a Napoli nella chiesa di San Pietro a Majella, una dozzina di anni prima. La tela carottese datata 1729 ha dimensioni considerevoli, con un diametro di poco meno di otto metri. Dell’Autore e dell’opera fa menzione G. B. Gennaro Grossi ne “Le Belle Arti” Vol. I, pubblicato a Napoli nel 1820, ma le date non coincidono: “Nel 1692 pinse la scudella nella chiesa di S. Michele nel Piano di Sorrento, e seppe dare a’ suoi dipinti tanta forza di prospettiva aerea, colle giuste regole dell’ottica, che comparisce tuttavia un’altissima cupola, con una illusione la più cara. Morì circa il 1720”

Secondo la tradizione l’Artista dipinse la cupola così come si presentava prima del terremoto. Un ambiente di grande eleganza, con finestroni e colonne di piperno, che dovrebbe restituirci l’immagine della chiesa così com’era prima del sisma. Colonne con capitelli corinzi con volute e foglie di acanto, un edificio di impostazione classica di stile cinquecentesco, certo un po’ tenebroso. Le colonne si troverebbero murate negli attuali pilastri quadrangolari? È un interrogativo di non facile soluzione. Ma la cosa che incuriosisce di più è un’altra. Se il Saraceni ha riprodotto nella tela la vecchia cupola, ha pure ripreso la vecchia immagine del San Michele che era sull’altare principale prima della statua attuale? L’Arcangelo raffigurato ha in sé il trionfo del barocco, panneggio al vento, ali dispiegate e la spada sguainata, sotto i suoi piedi un complicato ammasso di figure demoniache. Il che porterebbe ad escludere categoricamente che potesse trattarsi di una statua, propendendo per una pala d’altare o un affresco parietale.

La verità è che la nostra basilica ha un’antichità tale che nasconde misteri di difficile comprensione. I mezzi tecnici attuali potrebbero dare delle soluzioni, delle risposte e, partendo dall’immagine del Saraceni col computer si potrebbe ricostruire la visione ipotetica della Basilica così come si presentava prima del 1688.