Ciro Ferrigno ne ‘Il racconto del lunedì’ narra di questo connubio
Redazione – Ciro Ferrigno ne ‘Il racconto del lunedì’ narra del rapporto tra Sant’Antonino e l’acqua del Formiello.
La parte collinare del Comune di Piano è stata sempre ricca di acqua ed in particolare la zona alle pendici del Vico Alvano. Dell’abbondanza e della bontà di quelle sorgenti si resero conto ben presto i romani, i quali costruirono l’acquedotto del Formiello per dissetare Sorrento. Furono incanalate in esso pure altre risorgive, tra le quali quella di San Massimo e Casa d’Ardia. La condotta terminava nei cisternoni degli Spasiano, ancora visibili nei pressi del Cinema Armida, a Sorrento.
Le acque provenienti dalle pendici del Vico Alvano e quelle delle altre sorgenti, all’inizio del percorso, confluivano tutte in una grossa vasca, o pozzo, situato a Petrulo, e venivano divise per i due quinti al Piano ed il restante a Sorrento. L’acquedotto fu un lavoro di alta ingegneria, come nella migliore tradizione dell’epoca romana, prova ne è che è rimasto in funzione fino a qualche secolo fa.
Ci sono almeno tre leggende popolari che legano la figura di Sant’Antonino all’acqua e, tutte si riferiscono al suo cammino dal Monte Gauro o Auro, per noi Faito, a Sorrento. La più famosa è quella della contadina di Arola, alla quale il Santo chiese da bere. La donna non negò un po’ della sua preziosa acqua al monaco assetato e questi fece scaturire, presso un’annosa quercia, una magnifica sorgente, ad eterno ricordo della sua gratitudine e del suo passaggio. Un’altra tradizione lega il Santo ad una fonte di Trasaella che benedisse dopo essersi dissetato. Dal popolo era indicata proprio come l’Acqua di Sant’Antonino.
Una terza leggenda, custodita e tramandata dai Russo d’’o Barone, ci ricorda il passaggio del Santo per Via Formiello a Petrulo, il luogo famoso per il grande pozzo, già citato, dell’antichissimo acquedotto. Forse proprio nell’udire la grande massa dell’acqua giungere nel cisternone, con quel fragore tipico che deriva dalla velocità dell’elemento liquido in caduta, ebbe sete. Quando chiese dove bere ad un vecchietto che passava, tenendo per mano i nipotini, questi rispose che nel luogo, proprio il luogo dell’acqua, mancavano le fontane. C’era amarezza nella sua voce, per dire che tanta ne scorreva nelle condotte, se ne sentiva il fragore, se ne percepiva la freschezza, ma non c’era una sola goccia da poterla bere! Sant’Antonino fece il segno della Croce e si raccolse in preghiera, poco dopo scaturì dell’acqua che poco alla volta si fece largo nel terreno, fu prima fango e in breve sorgente purissima; ne bevve fino a saziarsi, ne bevve il vecchietto, ne bevvero i nipotini ed ancora i figli dei figli.
Quante volte nel corso dei secoli ci furono lavori per incanalare quella risorgiva nel grande cisternone! Tutta fatica inutile: progetti, spese, materiali, lavoro, gettati al vento! Quella sorgente era un dono di Sant’Antonino alla gente del borgo e nessuno mai sarebbe riuscito ad imprigionarla, per portarla altrove. Aveva ed ha in sé quella libertà che sfugge alle catene umane, perché dono di Dio!
Per le fotografie ringrazio Nino Aversa, Ferdinando Guida e Antonio Spasiano