Un’anima bella, un pastore amato: don Vincenzo Simeoli

Ciro Ferrigno parla ne ‘Il racconto del lunedì’ di un sacerdote di grande cultura, studioso delle tradizioni contadine e della storia locale sia della penisola sorrentina che della sua isola

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 5 persone, persone in piedi e spazio al chiuso

Foto di Giusy Mauro tratta dal diario di Facebook di Ciro FerrignoMartedì 6 aprile del ’21 don Vincenzo Simeoli conclude la sua vicenda terrena, all’età di 76 anni, essendo nato a Capri il 18 giugno 1944. Ci lascia un’anima bella, pastore amato, sacerdote di grande cultura, studioso delle tradizioni contadine e della storia locale sia della penisola sorrentina che della sua isola. Si era laureato in lingue all’Orientale di Napoli e aveva intrapreso un’ottima carriera, lavorando a livello dirigenziale in alcune strutture alberghiere capresi, fino a quando, a quarant’anni, ascoltò la chiamata di Cristo che lo voleva tra i suoi apostoli. Fu ordinato sacerdote il 4 aprile 1987 da Mons. Antonio Zama, Arcivescovo di Sorrento, nella chiesa caprese di San Costanzo. Fu parroco a Preazzano, vice parroco a Mortora e ancora parroco a Schiazzano e a Trinità fino al 2005 quando fece ritorno definitivamente a Capri. Particolarmente devoto a Sant’Andrea, patrono di Amalfi, don Vincenzo è stato autore di numerose ricerche, relazioni, documentari, approfondimenti, realizzando varie pubblicazioni, fino al capolavoro “Capri e la sua diocesi”, frutto di anni di ricerca e di studio, dato alla stampa nel ‘18.

Quando era parroco a Preazzano si dedicò con impegno allo studio dell’industria della seta in penisola e alla Repubblica Partenopea del 1799 grandi vicende storiche che avevano lasciato una traccia anche nella piccola borgata vicana. Parroco a Trinità, studiò le tombe della civiltà del Gaudo, l’antichità di Cermenna, i tesori d’arte della chiesa parrocchiale, poi le noci, le amarene e così via. In realtà da buon pastore, conosceva, come si dice, vita, morte e miracoli della parrocchia e dei suoi parrocchiani, un sapere che scendeva fino alle radici più profonde e tutto questo lo portava ad amare ancora di più le anime che gli erano state affidate. Da buon pastore custodiva con cura le pecorelle ed era attento alle chiese che di volta in volta governava, ne studiava le origini e diventava estimatore delle opere d’arte presenti, retaggio di fede delle generazioni passate e, tante volte, mezzo per innalzare l’anima a Dio. Era attento alle tradizioni della comunità parrocchiale, amava ascoltare i racconti degli anziani, appuntava, relazionava e riusciva a risalire a credenze e comportamenti che si erano sedimentati nell’anima delle persone.

Don Vincenzo aveva un rapporto privilegiato con il mondo contadino, ereditato dalla famiglia, sapeva distinguere gli alberi e le piante e conosceva tutti i nomi dei fiori della macchia mediterranea e proprio nella solitudine, a contatto con la natura, sentiva ancor di più tutta la grandezza e l’onnipotenza di Dio. Amò Monte Vico Alvano al quale dedicò un documentario e la vigna di proprietà a Capri, dove profuse impegno per recuperare gli antichi vitigni di Tiberio. Mescolava agricoltura e archeologia, i ricordi giovanili delle vendemmie familiari e gli insegnamenti degli zii, dai quali aveva imparato ad apprezzare i doni della terra.

Di quella lunga stagione di frequentazione, collaborazione e afflato, tra tante, c’è un’ immagine di don Vincenzo Simeoli che non dimenticherò mai. Quando la sera del Giovedì Santo del Duemila, anno giubilare, partecipò alla processione della Trinità a piedi scalzi, caricato della Croce. Era l’immagine di Cristo, si era trasfigurato in un abbandono mistico e si capiva che era assorto totalmente in quella penitenza scelta, voluta e abbracciata.

Giorni ed anni belli con don Vincenzo: la Croce di Vico Alvano caduta e da rialzare, le noci, le amarene, l’apostolo Pietro, la Rivoluzione del ’99, l’Industria della Seta in Penisola e mille altri argomenti per iniziative condivise. Mi diceva: “La cultura deve circolare, dobbiamo raccontare agli altri quello che conosciamo, i giovani devono ascoltare, sapere, imparare e crescere nella sapienza e nell’amore per la propria terra”. E tante volte: “Il vostro Gruppo Cultuale è il lumicino della cultura qui a Piano, non lo spegnete”. Don Vincenzo è stato un Maestro di vita, da amare per sempre.

Sono le 15.16 di questo triste giorno di aprile, mi chiedo se a quest’ora sia già arrivato in paradiso, a piedi scalzi e carico della Croce. Certo lo accolgono i cori angelici al canto dell’Inno solenne: “Tu es sacerdos in aeternum, secundum ordinem Melchisedech”.

La foto di don Vincenzo in processione è di Giusy Mauro, che ringrazio.