‘A gente ‘e copp’ ‘e Cuonte … ed il mezzo paradiso terrestre

Ciro Ferrigno ne ‘il racconto del lunedì’ parla del proverbio e da dove deriva la parola Conti,o Cuonti, come si chiamavano dai tempi antichi

Foto tratta dalla pagine di Ciro Ferrigno

“‘A gente ‘e copp’ ‘e Cuonte teneno ddoje facce, pecché vereno dduje mare” è un antico detto del quale oggi si è persa memoria; d’altra parte non sappiamo dove, quando e perché sia nato, ma è chiaro che alla base ci sia la rabbia per una vicenda personale che alla fine ha coinvolto l’intera comunità.

Le nostre amene colline, famose per tanti ottimi prodotti della terra, come i pomodorini, le amarene, le olive, l’uva ecc., dai tempi antichi si chiamano Conti,o Cuonti, e solo in epoca moderna, presumibilmente con l’Unità d’Italia,  sono diventati Colli, di San Pietro e di Fontanelle. Nei secoli passati i Cuonti, erano i luoghi dove venivano messe le parate, che consistono in reti verticali o schiappari con la finalità di catturare le quaglie di passaggio. Pare addirittura che il termine, che ha dato il nome ai nostri Cuonti, derivi dal greco kontòs, e stava a indicare quelle che per noi erano le pertiche o pali che servivano a sorreggere le reti della cattura. Dai Colli il panorama è bellissimo perché spazia su due golfi, quello di Napoli e quello di Salerno. Mia madre raccontava sempre che una volta, proprio ai Colli, da ragazza, aveva visto il re d’Italia, Umberto di Savoia, fermo ad ammirare estasiato il panorama dal lato napoletano, sul cui orizzonte troneggia il Vesuvio, allora col pennacchio. Lo aveva visto in una delle curve quando da Teresinella la strada scende verso La Trinità.

Foto tratta dalla pagine di Ciro Ferrigno

Esistono dei punti di osservazione, dopo Fontanelle, verso Sant’Agata, dove è possibile cogliere in un solo sguardo i due golfi ed è il trionfo della bellezza tinta di azzurro.

La posizione privilegiata degli abitanti dei Colli, vivendo in tanta bellezza, avrebbe prodotto nel loro carattere l’inclinazione alla doppiezza ed alla falsità? Non credo. Questo detto, coniato in epoche antiche, certamente si riferisce al carattere schivo e chiuso di popolazioni che vivevano in un dorato isolamento. Quando bisognava scendere in paese era necessario farlo a piedi o su carrozzelle trainate da cavalli, asini o muli. Forse la marcata identità di gente timida, introversa e poco loquace, avrà originato un’autodifesa caratteriale che ai “cittadini” sarà sembrata pregna di doppiezza e falsità. Naturalmente un detto parte da un’esperienza personale, senza dubbio vera, ma, come dicevo, non si può generalizzare con il definire un’intera collettività allo stesso modo.

“‘A gente ‘e copp’ ‘e Cuonte teneno ddoje facce, pecché vereno dduje mare” è un detto che non considera una grande verità, quella della vastità degli orizzonti, per cui potremmo dire che la gente dei Cuonti ha la possibilità di abbracciare con lo sguardo l’infinito.  Il Golfo di Napoli con il Vesuvio, Napoli e la piana sorrentina, quello di Salerno con I Galli, la divina costiera e lontano Punta Licosa, vale a dire mezzo paradiso terrestre, e non è poca cosa!