Fare una profonda riflessione per mantenere vivo il ricordo dello sterminio di 6 milioni di ebrei e di tutte le vittime delle persecuzioni e dell’odio nazifascista
Il Coordinamento Nazionale dei Docenti della disciplina dei Diritti Umani, in occasione della giornata commemorativa per le vittime dell’Olocausto, intende fare una profonda riflessione per mantenere vivo il ricordo dello sterminio di 6 milioni di ebrei e di tutte le vittime delle persecuzioni e dell’odio nazifascista.
La giornata celebrativa è stata istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 1° novembre 2005 con l’obiettivo di ricordare al mondo, con cadenza annuale, le vittime dell’Olocausto.
Da allora, il 27 gennaio di ogni anno, gli Stati membri dell’ONU attraverso il ricordo della Liberazione degli ebrei, e di tutti gli altri deportati dei campi di sterminio, da parte dell’Armata Rossa, sono impegnati in una politica globale di protezione della Memoria storica che mira a promuovere nelle generazioni future sentimenti di solidarietà e di pace.
Il nostro Paese già nel 2000, cinque anni prima della Risoluzione ONU, con la legge 211 del 20 luglio istituì il Giorno della Memoria con il chiaro intento di ricordare la Shoah, ma anche le leggi razziali approvate sotto il regime fascista, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, la deportazione, la prigionia, la morte.
La Giornata della Memoria ci spinge certamente a interrogarci non solo sulle responsabilità di chi ha compiuto tutte le atrocità che la storia ci consegna, ma anche su quelle di chi con il silenzio complice le ha, in qualche modo, favorite perché è rimasto indifferente, perché non ha voluto vedere, perché toccava agli altri.
E agli altri, agli ebrei, toccò l’odio ingiustificato, la legislazione antisemita, la segregazione razziale, la deportazione nei campi di concentramento e lo sterminio finale.
Agli altri ancora, alle “sottorazze”, ai “subumani”, ai “popoli inferiori”, agli “asociali”, ai “difettosi”, ai testimoni di Geova, ai disabili fisici e psichici, agli omosessuali, agli avversari politici veri o presunti, agli oppositori politici, alle donne ”non conformi” toccò una simile sorte fatta di disprezzo, ghettizzazione, lager, violenza indicibile, morte.
Tutto questo accadde nel ’900, che per la Storia è l’altro ieri.
E accadde sotto agli occhi di un’Europa attraversata da tempo ormai da sentimenti razzisti e antisemiti. Accadde anche e soprattutto con la complicità della Scienza, del Diritto, dell’Istruzione, della società civile.
Il popolo ebraico e tutti coloro che furono bersaglio della politica dell’odio nazista e fascista di Hitler, Mussolini, dei gerarchi nazisti e dei fascisti nostrani, furono uccisi da una sorta di tacito consenso causato dall’omertà e dall’indifferenza generata dal terrore ancor prima di perire sotto una fucilata perché fuori dal ghetto, o per asfissia e mancanza di acqua durante le deportazioni, o per
deperimento fisico, per freddo, per infezioni, per esperimenti nei lager, o per morte volontaria sui fili spinati, o per gas tossico dell’agente fumigante Ziklon B.
In pochi anni, ignorando e calpestando tutti i progressi dell’umanità, si consumò la più grave violazione dei Diritti Umani.
Il CNDDU ogni anno, in occasione di questa giornata commemorativa, pur ricordando ovviamente tutte le vittime dell’Olocausto prova a narrare storie di orrore che molto spesso rimangono nascoste nelle pieghe dell’Olocausto.
L’anno scorso abbiamo dedicato la nostra giornata ai bambini di Terezin, quest’anno abbiamo scelto di mantenere viva la memoria delle donne nei Lager, nello specifico di quello di Ravensbruck.
Nel 1939 aprì, per ordine del capo delle SS Heinrich Himmler, il campo di concentramento di Ravensbruck, letteralmente “ponte del corvo”, in Germania.
Appena arrivate nel lager le donne venivano denudate davanti ai soldati nazisti, schernite, offese, sputate, rasate a zero e tatuate. Dopodiché, iniziava per molte di loro il disumano percorso di preparazione per gli esperimenti.
Le donne nei lager erano “Pezzi d’immondizia”, per usare le parole di Primo Levi. Coloro che avevano il ciclo mestruale, argomento tabù per tantissimi anni, lo dovevano gestire affrontando le atroci condizioni igieniche del lager.
Liliana Segre, deportata nel Lager femminile di Auschwit-Birkenau all’età di tredici anni, ha affermato: “Nel lager ho sentito con molta forza il pudore violato, il disprezzo dei nazisti maschi verso donne umiliate. Non credo assolutamente che gli uomini provassero la stessa cosa. La spoliazione della femminilità, la rasatura, la perdita delle mestruazioni, sono state un percorso comune a tutte le donne…Io soffrivo parecchio per le mestruazioni e ricordo che uno dei primi pensieri arrivando lì dentro era stato: e quando arriveranno le mestruazioni come farò?”
Nel giro di tre anni nel lager di Ravensbruck furono imprigionate oltre 10.000 donne (austriache, tedesche, comuniste, antinaziste, e/o colpevoli di aver violato le leggi di Norimberga sulla purezza razziale) che a causa di denutrizioni e condizioni disumane di vita giungevano ad un’amenorrea forzata: assenza di ciclo mestruale per interrompere la fertilità delle donne e impedire di procreare.
Peggy J. Kleiplatz, docente della Facoltà di Medicina dell’Università di Ottawa, sostiene che le donne avrebbero ricevuto, insieme alle brodaglie, steroidi sintetici per far sparire le mestruazioni.
Ravensbruck è stato il lager femminile nel quale sono state commesse le più gravi atrocità sulle donne: sterilizzazioni, introduzioni nell’utero, con l ‘uso di una siringa, di sostanze irritanti a base di nitrato d’argento misto a sostanze radiologiche, asportazioni dell’utero, somministrazioni di ormoni maschili, selezioni per i “trasporti neri” (le donne venivano ferite, fratturate, amputate e infettate con virus e batteri) finalizzati alle sperimentazioni.
La Legge della sterilizzazione approvata nel 1933, in nome della politica eugenetica del regime nazista, autorizzò una serie di esperimenti medici che causarono la morte per emorragia di un numero altissimo di donne le quali, non dimentichiamolo, rappresentano più della metà delle vittime dell’Olocausto.
A Ravensbruck, villaggio prussiano a 80 km da Berlino, le SS si scagliarono con una violenza disumana sulle donne prigioniere, sporcando la storia del genere umano con una macchia che mai sarà cancellata.
Ed è alle donne dei lager, offese, umiliate, violentate, trucidate che quest’anno va il nostro pensiero.
Convinti che solo alimentando la sete di memoria delle nuove generazioni possa formarsi una solida coscienza civile, invitiamo, come sempre, i docenti della scuola italiana di ogni ordine e grado a coinvolgere gli studenti per un importante memento di riflessione e a realizzare insieme alle classi: “Se questa è una donna”: il lager femminile di Ravensbruck, un lavoro didattico monografico che racconti – con la forza evocativa della fotografia e del disegno, con la bellezza della poesia e della narrativa, con l’immediatezza delle tecnologie digitali e soprattutto con un cuore puro che sappia riconoscere e condannare le ingiustizie e lodare la vita – l’orrore delle donne dei lager.(tutti i lavori inviati alla seguente mail: coordinamentodirittiumani@gmail.com saranno pubblicati sul nostro sito, nella sezione dedicata alle scuole, e sulle nostre pagine social)
prof.ssa Rosa Manco
CNDDU