Gita a Napoli, quella città che nessuno pensava di vedere

Ciro Ferrigno nei ’50 Anni di gite’ parla di quella che fecero il 27 dicembre 1987, che fu accolta con molta perplessità

Foto tratta dalla pagina di Facebook di Ciro Ferrigno

(Fonte Ciro Ferrigno – 50 Anni di gite)

Il programma della “Gita a Napoli” fissata per il 27 dicembre 1987 fu accolto con molta perplessità, non tanto per le cose che avremmo fatto e visto la mattina, ma per il primo pomeriggio, destinato a un giro per il centro storico della città. Parecchi chiedevano: “Ma che c’è da vedere?” oppure “Non è pericoloso?” o anche “Dobbiamo andare a fare la spesa?” Perché per tanti Napoli era la città dei ricoveri ospedalieri e delle visite specialistiche da luminari della medicina, la città delle spese importanti in vista di cerimonie come battesimi, prime comunioni e matrimoni, oppure per un piacevole giro alla Standa, da Upim o, ancor meglio alla Rinascente in Via Roma. Ma proprio a fare turismo a Napoli, nessuno ci pensava.

Io che conoscevo bene la Città per i quattro anni di Università e le decine di supplenze di inizio carriera scolastica, preparai un programma capace di colpire il nemico, ossia il denigratore, al cuore. Tanti prenotarono, attratti dal programma della mattina, la visita alla Sezione Presepiale del Museo Nazionale di San Martino, che custodisce il Cuciniello e il giro fu fantastico, una piena immersione nella meraviglia del Presepe Napoletano del Settecento. Ma pure quello in pullman che seguì, fece sgranare gli occhi sulla bellezza della Città: Posillipo, Mergellina, Via Caracciolo, il Borgo Marinaro a Castel dell’Ovo, ma anche qui nulla di nuovo, si trattava della Napoli bella delle cartoline illustrate, quelle che si mandavano agli emigrati.

Dopo la pizza al Trianon il pullman ci portò su, fino al Gesù Nuovo, perché allora non c’erano divieti o zone a traffico limitato. Tutte le persone che mi avevano chiesto “Che c’è da vedere a Napoli?” quando si trovarono nel Chiostro di Santa Chiara, si sentirono morire, “le scennette ‘a lengua ‘nganno”, al contatto con una bellezza suprema, un connubio di arte e natura e poi la chiesa del Monastero che “Tene ‘o core scuro scuro”, con le linee gotiche restituite dopo il bombardamento del 1943. Guidavo il gruppo per Spaccanapoli e facemmo sosta a San Domenico Maggiore con le tombe dei Re di Napoli e la cappella di San Tommaso d’Aquino, la sfogliata da Scaturchio e poi vicoli e vicoletti, fino alla Cappella Sansevero.

Eravamo soli, non c’era nessuno, noi e il custode, noi, il custode e il Cristo Velato, una delle opere più belle che la mente umana abbia mai concepito, dove il marmo diventa poesia e preghiera, l’Inno alla Morte che attende di essere sconfitta in modo definitivo e per sempre. I miei compagni non parlavano, semmai lo facevano con gli occhi, col movimento delle labbra e del viso, come per dire che non avevano mai visto nulla di simile. Era il 1987 e Napoli era ancora in pieno sonno, in attesa del bacio del principe azzurro che non avrebbe tardato. Il Cristo Velato di quegli anni era Napoli, in attesa della resurrezione.

Dalla Cappella Sansevero raggiungemmo San Gregorio Armeno coi pastori di plastica e alcuni di terracotta, pure in attesa di un ritorno alla gloria del tempo passato. Sostammo a San Lorenzo Maggiore con il suo splendido gotico francese e poi andammo dritti in Via Duomo, dov’era ad attenderci il pullman per il rientro. In tanti l’avevano capito, alcuni non volevano ancora ammetterlo, altri già lo sapevano ma avevano paura di dirlo, che la nostra Napoli è la Città più bella del mondo!