Antonino Mauro, le campane impazzite e la morte di Giovanni Paolo I

È stato l’ultimo campanaro di San Michele, l’ultimo a suonare le campane con la sola forza delle braccia, per quasi mezzo secolo, dalle prime esperienze del 1938 fino al terremoto dell’Ottanta

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Antonino Mauro è stato l’ultimo campanaro di San Michele, l’ultimo a suonare le campane con la sola forza delle braccia, per quasi mezzo secolo, dalle prime esperienze del 1938 fino al terremoto dell’Ottanta. Poco più che tredicenne aiutava il Ferracavallo, campanaro ufficiale, imparando giorno dopo giorno l’antica e nobile arte, per poi diventare egli stesso il maestro campanaro.

Già in quegli anni, nel massiccio campanile della Basilica vi erano diverse campane. La grande, chiamata San Michele, ricorda la dedicazione della chiesa all’Arcangelo. Quella vecchia, Cristo Re o Ecce Homo, usata anche per suonare a martello, è la più antica, già in uso ai tempi di Santa Maria di Monserrato, fondata nel 1422, che aveva l’altare maggiore dove si trova l’Ecce Homo. L’altra, chiamata Santissimo Sacramento o Quaraesema, è la più piccola. In seguito ne furono acquistate altre due, benedette da don Alfredo, mentre l’ultima, di grosse dimensioni, fu aggiunta in occasione del Giubileo del Duemila.

Il Mauro era un contadino stimato e si era fatto carico del servizio di campanaro solo per amore; eppure era un incarico di non poco conto, infatti doveva presentarsi sul campanile, puntuale, minimo tre volte al giorno, ma la sua presenza era indispensabile, talvolta anche di più, per la festa di San Michele, Natale, Pasqua, per accompagnare i momenti di festa e di lutto di una comunità sempre crescente. Il “Mauriello” svolgeva il compito con grande scrupolo, nulla era estemporaneo, tutto era legato alla tradizione e all’osservanza di leggi non scritte, di un modello codificato di suono. In occasione della tremenda pioggia di cenere del 1944 aveva suonato per ore e ore, per allontanare il flagello, coi rintocchi della “Vox Mortua”, aiutato da altri tre uomini. Già in piena guerra, nel ‘43 aveva osato suonare le campane a festa a Natale, come segno di speranza e di fiducia in Dio. Ma all’alba del 29 settembre 1978 il parroco don Saverio Sessa gli ordinò una cosa che lo spiazzò completamente: suonare le campane per metà a festa e per metà a lutto! Infatti, mentre a Piano si festeggiava l’Arcangelo, da Roma era giunta la notizia della morte, avvenuta nella notte, di Papa Luciani, Giovanni Paolo I. Antonino, nella sua semplicità, rispose, facendosi cadere le braccia: “Sia fatta la volontà di Dio… e come devo fare? I suoni si devono distinguere…”

Non era mai stato tanto faticoso salire sul campanile, era perplesso, sgomento, titubante: bisognava comunicare al popolo, allo stesso momento il dolore e la gioia, la vita e la morte e ricordava quelle parole ascoltate a Pasqua di Risurrezione: “Vita e morte si sono affrontate in un prodigioso duello”. Era ciò che gli aveva chiesto monsignore, un prodigioso duello! Ma un dubbio lo tormentava: “La gente che non sa ancora della morte del Papa, penserà che le campane siano impazzite!”

Gradino dopo gradino ascendendo con fatica alla cella campanaria pensava, progettava. Cominciò coi tocchi funerei, era morto un Papa buono, semplice, sfortunato, solo per trentaquattro giorni sulla cattedra di Pietro, ma intanto pensava alla gente ignara che non avrebbe capito il pianto della campana, in un giorno di grande solennità. Allora, d’istinto, sciolse le funi, con sforzo sollevò la San Michele, poi la lasciò cadere a precipizio, “abbiandola” nel Gloria. Il suono sprigionava soavità, fino a giungere all’apoteosi dell’armonia, quella della grande letizia, nelle cui onde sonore volteggiavano gli uccelli dei giardini vicini, quasi impazziti per la gioia. Solo dopo un lungo e prolungato scampanio festoso, Antonino pensò di chiudere con altri rintocchi gravi e funerei per l’umile pontefice, che sentiva vicino, come lo era per tutti gli operai e i lavoratori. Meditava che in sostanza la vita è proprio così, un eterno conflitto tra bene e male, gioia e dolore, vita e morte, inizio e fine di ogni cosa. Ora le campane tacevano, aveva legato le corde ai grossi ganci di ferro della cella campanaria.