Ricorda ne ‘Il racconto del lunedì’ quei tragici giorni in cui il geologo fu incaricato controllare tutte le abitazioni una per una
Il periodo immediatamente successivo al terremoto del 23 novembre 1980 fu di grande trambusto e di infinita precarietà. Da noi undici morti, case crollate, lesionate e danneggiate in modo più o meno grave ed il tessuto urbano stravolto per le tante strade transennate o non percorribili per edifici o parti di essi pericolanti. Fortunatamente a Piano era sindaco l’Architetto Antonino Gargiulo, uno dei più illuminati che la storia della città ricordi, che subito si diede da fare per sistemare i senzatetto, operando con determinazione e coraggio per togliere la gente dalla strada, requisendo pro tempore appartamenti sfitti, forzando all’occorrenza anche le serrature alle porte di ingresso. Poi seguì il periodo dei sopralluoghi e fu assegnato ad un gruppo di esperti il compito di visionare una per una tutte le abitazioni danneggiate, per controllarne scrupolosamente i requisiti dell’abitabilità.
Il tempo atmosferico che era stato buono fino a pochi giorni prima, si guastò proprio in contemporanea all’evento sismico, faceva freddo e addirittura nella martoriata Irpinia cominciò a nevicare. Non c’era tempo da perdere, bisognava agire, controllare tutte le abitazioni una per una. Tra le persone convocate a tal fine c’era il dott. Ettore Mastrogiacomo, il quale accettò l’incarico, mettendosi a disposizione senza nulla chiedere, come si dice: “gratis et amore Dei”. L’amico mi chiese di accompagnarlo nei sopralluoghi ed accettai, felice di collaborare, col mio poco, in quel momento di grande sofferenza, ma anche di solidarietà e fratellanza.
Ricordo pareti crollate, mobilio danneggiato, lesioni che avevano spaccato pareti e solai, gli occhi sbarrati di persone nell’attesa del responso, il pianto di certe donne, i bambini impauriti. Ricordo la serenità di Ettore, il suo dispensare pareri e raccomandazioni, rassicurazioni, mai una parola fuori posto, mai un’espressione che potesse destare ulteriori preoccupazioni e pure quando prendeva atto di danni gravi, sapeva trovare le parole giuste per dirlo. Il mio compito era quello di prendere appunti, ascoltare e dispensare sorrisi. Forse può sembrare banale, ma in certi momenti saper ascoltare serve a tanto e sorridere è gran cosa, quando vorresti piangere! Imparavo da Ettore che ci sono momenti nella vita che le tue conoscenze servono alla comunità e che devi tirarle fuori subito e con generosità; era una lezione di vita. I sopralluoghi coinvolgevano buona parte del centro storico, molte vetuste abitazioni di Via San Michele, Via Santa Margherita e le facemmo tutte, una per una, quanti gradini, quante scale, quante storie e quanto dolore!
Abituato a vedere il dott. Mastrogiacomo solo come il principe consorte di Cecilia Coppola, regina madre di infinite attività culturali, tante in collaborazione con il mio gruppo, ora conoscevo il Dottore in geologia nel pieno svolgimento della sua professione, ne misuravo la signorilità, la pacatezza, la competenza, la conoscenza della materia e carpivo quella sua sottile ironia che serviva a sdrammatizzare e ti strappava pure un sorriso. Sempre lo vedevo a disposizione di una comunità stravolta, sofferente, insicura fin dentro la propria abitazione. Quella dei sopralluoghi fu un’esperienza assai triste, ma infinitamente bella perché quel terremoto distruttivo ci aveva resi migliori e, chi soffriva, sapeva di avere accanto dei fratelli ed il Mastrogiacomo lo era per tutti.