Considerazioni sulla settimana santa 2022: sacerdoti e processioni

Ciro Ferrigno parla ne ‘Il racconto del lunedì’ del ritorno dei gli amati Riti e tutte le titubanze che si sono manifestate al momento della ripartenza, hanno messo in luce degli aspetti, che meritano delle riflessioni

 

Finalmente, dopo la penosa pausa forzata, causa pandemia, sono tornate le processioni della Settimana Santa. I due anni trascorsi senza gli amati Riti e tutte le titubanze che si sono manifestate al momento della ripartenza, hanno messo in luce degli aspetti, che meritano delle riflessioni. Nel clero ci sono molti sacerdoti, ed anche alti prelati, che mostrano chiaramente di non amare queste manifestazioni di pietà popolare, che considerano obsolete, medievali e pertanto ampiamente superate. Essi, in realtà non hanno torto, perché tutta la simbologia che sfila in processione è retaggio del passato, quando certe descrizioni del Vangelo diventavano plastiche e concrete a scopo didattico, perché solo pochi sapevano leggere. Qualche esempio: il gallo che cantò tre volte, quando Pietro rinnegò Gesù Cristo, visto in processione ha il compito di richiamare subito alla mente l’episodio evangelico della Passione. La Madonna Addolorata, che di notte, cerca ovunque il figlio, lo cerca nei sepolcri allestiti nelle varie chiese, è un’altra simbologia per anime semplici. La Madonna ben sapeva della Via dolorosa, dei supplizi e della morte in croce del Figlio, dove ai suoi piedi era stata affidata all’Apostolo Giovanni, ecc ecc.

Oggi molti sacerdoti cercano di distaccarsi da questa simbologia d’altri tempi, ponendo all’attenzione dei fedeli la loro parola che li rende centrali nel rapporto con la divinità, dove si trovano impegnati su un duplice fronte; da un lato il rapporto tra l’Uomo e Dio, dove il credente può scegliere o la santità o l’affidamento totale alla Misericordia di Dio, dall’altra il rapporto tra uomo ed uomo che deve essere vissuto nella fratellanza, nella pace, nel rispetto reciproco. In questa nuova catechesi, non c’è più spazio per gli antichi riti della Settimana Santa.

Ma c’è un “ma”, che non è di poco conto, anzi.

Le processioni pasquali costituiscono per la popolazione dei nostri Comuni, in particolare quelli dell’antico Piano, un momento di forte identità collettiva, di quella possibilità di riconoscersi in un qualcosa che accomuna tutti, per dirla con Freud, un momento totemico, che si ha allorquando un gruppo si riconosce in un simbolo e, a somiglianza delle tribù dei primitivi, ci danza intorno. Quindi, i sacerdoti, in particolare quelli giovani, che ne farebbero volentieri a meno, proprio perché capaci di leggere nell’animo umano, non possono in alcun modo non considerare i contenuti più profondi di queste “sfilate”, che hanno una valenza etnica, psicologica, antropologica o che dir si voglia. Le processioni della Settimana Santa si devono fare, pena la perdita dell’identità collettiva, esse ci legano alla nostra terra ed alla sua storia, all’infanzia, ai nostri morti. Altri popoli hanno come totem un Santo, il Carnevale, un personaggio leggendario, ecc. Noi abbiamo la Croce, retaggio di quella prima evangelizzazione fatta, se vogliamo credere alla leggenda, dallo stesso Apostolo Pietro.

Le tendenze contrastanti tra innovazioni e tradizioni, porteranno per molti anni situazioni di conflittualità e forti incomprensioni tra clero e popolo, fino a che, nel raggio di pochi decenni, le processioni finiranno col perdere parte della propria sacralità e diventeranno un momento di folklore, nel senso positivo del termine, gestito dal popolo, per il popolo. Naturalmente, spero di sbagliarmi.