Coronavirus, drammatico racconto dell’autista stabiese dei cinesi

Le parole sono da brividi ed è lui che ha li portato in giro sostando anche a Napoli e Sorrento e poi sono stati accompagnati allo Spallanzani

 

Foto tratta da inmi.it

Redazione – In un’intervista riportata da “Il Mattino” in un articolo a firma di Dario Sautto, l’autista stabiese che ha portato in giro i cinesi sostando anche a Napoli e Sorrento, racconta il suo dramma nei giorni che è stato allo Spallanzani.

Era stato sospettato anche lui del coronavirus ed era stato messo in quarantena in una stanzetta angusta, senza finestre, senza tv, senza internet. Praticamente isolati dal mondo e controllati dall’esterno.

Luca (nome di fantasia), dopo due settimane di quarantena, è potuto ritornare a casa e riabbracciare la sua famiglia.

“Il 25 gennaio – racconta Luca – ho prelevato i turisti all’aeroporto: si trattava di una comitiva di Benji, vicino a Pechino, a cui si era aggregata una coppia di Wuhan. C’erano anche alcuni bambini. Il secondo giorno siamo andati a Venezia, dove sono stati fino alle 17. Alle 21 siamo arrivati a Parma, dove abbiamo pernottato. Durante lo spostamento uno dei turisti ha cominciato a tossire e ho chiesto che indossasse la mascherina”. Era uno dei due turisti risultati poi infetto. “Ma l’abbiamo saputo solo qualche giorno dopo – dice Luca – La mattina successiva, infatti, dovevamo andare a Firenze, ma quel turista (un biologo di Wuhan) e la moglie hanno deciso di raggiungere il nostro stesso hotel separatamente, perché lui stava poco bene. Da quel momento non li abbiamo più visti. Dopo la visita a Firenze, il nostro viaggio è proseguito verso Roma e poi a Napoli, dove gli altri hanno dormito due notti. Non sospettando nulla, io sono tornato a dormire a casa mia, a Castellammare, con mia moglie e le mie figlie. Nel frattempo i turisti hanno visitato Positano e dormito una notte a Sorrento. Il 31 sono andato a riprendere la comitiva, avremmo dormito una notte a Cassino prima di tornare a Milano per la ripartenza prevista il 1 febbraio, ma durante il viaggio è iniziato l’incubo. Innanzitutto l’hotel prenotato ha rifiutato di accoglierci, perchè la struttura era stata allertata dall’Asl del nostro arrivo.

Ho portato l’autobus all’esterno dell’ospedale di Cassino e lì siamo stati circondati dalle forze dell’ordine che, parlandoci di un controllo medico, ci hanno scortati allo Spallanzani di Roma. Solo una volta arrivati in ospedale, mi hanno comunicato che i controlli riguardavano anche me. Siamo stati subito trasferiti in questo reparto nuovo, in stanzette anguste, senza finestre, senza tv, senza internet. Praticamente isolati dal mondo e controllati dall’esterno. E’ stato terribile. Avevo paura e in quella stanzetta stavo impazzendo, anche se il personale è stato gentilissimo. Dopo qualche giorno ho chiesto ad una dottoressa di poter avere almeno tv e wifi, e sono stato accontentato. Per i primi cinque giorni ho potuto comunicare solo telefonicamente con mia moglie, alla quale è stato raccomandato di non dire niente a nessuno, per non creare ulteriore allarmismo in zona. Anche l’Asl a Castellammare era stata avvisata ed era pronta a trasferire i miei familiari al Cotugno di Napoli in caso di problemi. Per questo mi sono sentito in colpa per giorni, temevo di essere infetto e di aver contagiato anche loro. Mi hanno misurato la febbre tre volte al giorno, fatto due volte le analisi del sangue, diversi tamponi. Sono sano, sto bene, come tutti gli altri turisti che erano con me e che sono stati anche a Napoli e Sorrento. Dopo oltre una settimana, quando ormai era evidente che stessi bene, mi hanno fatto incontrare una delle mie figlie. A distanza, entrambi con le mascherine, ma almeno ho potuto vedere un volto familiare. Oro sto benissimo, ma devo riprendermi da questo choc: la mattina ancora misuro la febbre per sicurezza. Mi piacerebbe poter abbracciare e ringraziare quei due turisti di Wuhan. Sono sicuro che avessero capito di essere infetti e hanno deciso di isolarsi per non contagiare nessuno”.