L’orfano e la professoressa anziana di Stenografia

Ciro Ferrigno ne ‘Il racconto del lunedì’ parla di ella, del sentimento che lega il figlio maschio alla madre, un legame duro come il ferro

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Foto tratta dal diario di Facebook di Ciro Ferrigno

In quel lontano 1981, dopo il terremoto, insegnavo in un Istituto Professionale per il Commercio a San Giovanni a Teduccio. C’era una collega di Stenografia anziana, una figura esile, dimessa nel vestire, di quelle che ti immagini in chiesa a dire il rosario nella penombra. Pur essendo chiusa e riservata, aveva tante cose da raccontare. Infatti, a distanza di anni, ci sono due episodi che non ho mai dimenticato. Avevamo un’ora di spacco assieme e, seduti in sala professori, eravamo a disposizione per eventuali sostituzioni; lei raccontava, io ascoltavo volentieri, mi piaceva sentirla parlare. Aveva avuto uno strano incontro. Una sera tempestosa, diluviava e lei alla guida della cinquecento vide un signore che si sbracciava per chiederle un passaggio; non aveva l’ombrello, era bagnato fradicio. Lei si accostò, si fermò, lo fece accomodare in macchina e lo accompagnò fino a casa, perché la pioggia faceva sul serio, non concedeva tregua. Giunto a destinazione, l’uomo la ringraziò e si presentò: dal nome capì che si trattava di uno degli esponenti di spicco della Camorra locale; disse che avrebbe potuto contare su di lui per qualunque cosa! Lei rimase interdetta, ma pure meravigliata dalla galanteria e dall’affabilità dell’uomo.

Un’altra volta mi confidò che, pur non essendo sposata, aveva a casa due ragazzini che l’aspettavano, due nipotini rimasti senza la madre, figli della sorella che era morta e lei ora li accudiva con tutta la dedizione possibile. Notava che in particolare il maschietto aveva bisogno di amore in più. Quella donnina con il cappellino di lana e gli occhialini di osso, rotondi, passati di moda, cominciò ad apparire ai miei occhi come una donna straordinaria, capace di andare oltre l’amore, per offrirne di più!

Cosa dire di quel sentimento che lega il figlio maschio alla madre, un legame duro come il ferro, delicato come petali di rose nel bacile per l’Ascensione, intramontabile, eterno, bianco come la neve, forte come le fondamenta di una casa, capace di edificare o pure distruggere per un legame esagerato o asfissiante. L’uomo amerà la donna che sceglie come compagna, solo se ha amato la madre con l’equilibrio dei sentimenti e dei suoi confini.

La perdita della madre per un bambino, un adolescente, un ragazzino, è cosa grave, lascia il segno per tutta la vita; nulla e nessuno potrà rimediare a questa perdita immensa, è ferita che sanguina per sempre. È pur vero che ci sono padri, nonne, zie, sorelle, suore che surrogano egregiamente la figura materna, ma l’ombra di quell’assenza peserà sempre come un macigno nell’anima dell’orfano. Un vecchio proverbio napoletano recita: “Chella d’’o lietto priesto fa scurdà chella d’’o pietto”. Questo non è vero per l’orfano, perché nella donna che amerà cercherà, in maniera inconscia la madre, le sue carezze, le somiglianze, le attenzioni, la capacità di far risentire certi profumi della cucina, riprovare certi sapori dimenticati. È inutile dire a un giovane che ha perso la mamma che ha un angelo in paradiso che lo segue e lo difende; nella verde età non si capisce la morte, è un vocabolo che non esiste e certe assenze sono ingiustificate: assurde e basta.

Proprio per questo legame che si spezza, per una madre che muore troppo presto, ci si accorge dell’incompiutezza della vita e che certi rapporti devono avere un altro tempo, un’altra esistenza, devono continuare altrove. Quante volte in quei paesini, svuotati dall’emigrazione, troviamo vecchiette sedute fuori l’uscio di casa in attesa che arrivi qualcuno. I figli. Chi in Germania, chi in Inghilterra, chi in America, li aspettano, sanno che prima o poi devono tornare. Così mi immagino le madri volate al cielo troppo presto, sedute sull’uscio del Paradiso, pronte a continuare con i figli quella vita insieme, finita prima del tempo. Certe attese danno senso a delle parole care all’anima, come amore ed eternità.