Bill e Aletha ed il biglietto verde nella busta

Ciro Ferrigno ne ‘ila racconto del lunedì’ narra della prigionia del padre negli USA, dove conobbe un marito e moglie originari di Torino, e da quel giorno nacque un forte legame

Foto tratta dal diario di Facebook di Ciro Ferrigno

Mio padre nel corso dell’ultima guerra fu fatto prigioniero e portato negli Stati Uniti d’America a Tacoma, detta la “città del destino”, un grosso polo portuale, nello stato di Washington. Passato l’iniziale disorientamento, il primo periodo di sofferenza per la condizione di prigioniero e di lontananza dall’Italia e dalla famiglia, si rese conto che, tutto sommato non poteva lamentarsi. Mangiava, beveva, fumava e poi tutto intorno c’era un qualcosa di familiare, che addolciva il suo umore e questo andava a chiarirsi giorno dopo giorno, come una lente che, una volta indossata, ti consente di vederci bene, con un nitore rasserenante e carezzevole. C’erano tanti che parlavano la sua lingua! Erano i nostri emigrati che, nonostante stessero in America da decenni, all’occorrenza usavano il nostro dolce idioma e assumevano un aspetto rassicurante e quasi paterno, nel rapporto coi nostri soldati, specie i più giovani. Mano a mano si rese conto che il suolo della grande Nazione americana brulicava di italiani, molti dei quali vivevano agiatamente, in casette di legno con il tetto spiovente, il giardino pieno di fiori ed il fumaiolo che spesso sprigionava accattivanti profumi di casa.

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Foto tratta dal diario di Facebook di Ciro Ferrigno

I nostri, dovevano godere anche di una certa libertà di movimento, della libera uscita, se è vero che, proprio in quei giorni, mio padre, allora poco più che ventenne, conobbe una coppia di connazionali, originari di Torino. Cominciò a frequentare la loro casa, come e quando poteva e quella porta che si apriva con tutto l’amore e l’affetto possibile, aveva il calore dell’abbraccio, la potenza dell’amore familiare, la complicità di chi riconosce nell’altro le comuni radici e lo stesso sangue. Il cibo che i nostri mangiavano nei luoghi di detenzione, era solo un piccolo antipasto di fronte alle tavole imbandite nelle case di quei connazionali ospitali, dove non mancava di nulla e sembrava il paradiso terrestre di fronte alle privazioni dei giorni di guerra, con il pane nero, il cibo avariato e l’olio rancido dal sapore disgustoso.

Bill o William e Aletha Crosetto, marito e moglie, erano persone ospitali e generose. Quando appurarono che il giovane aveva lasciato in Italia la moglie con una figlia piccolissima, di tanto in tanto cominciarono a spedire all’indirizzo in Italy una busta contenente un biglietto verde di cinque dollari. Fu l’inizio di una lunga corrispondenza e non c’era Pasqua o Natale che non arrivasse la lettera con quella preziosa banconota. Una dolce, lunga consuetudine durata tre decenni, fino al 1973, sempre con gli abbracci, i baci, gli auguri ed un po’ di soldi per i dolci ai bambini. Intanto i “bambini” erano diventati grandi, e la lettera di quei cari, dagli Stati Uniti, continuava ad arrivare puntuale. Era il perpetuare un sentimento d’affetto immutabile nel tempo, perché nato nei giorni difficili della guerra e del bisogno, nel tempo della prova, della fratellanza, fino al gran finale di “Scurdammece ‘o passato, simmo ‘e Napule, paisà!”. Poi un triste Natale la lettera non arrivò e all’improvviso capimmo di essere diventati grandi per davvero e che sulla tavola della festa sarebbero mancati per sempre quei dolci che venivano da così lontano, nello spazio e nel tempo.