Caruotto è comm’ a ‘nu tino… i fatti durano una notte sola

Ciro Ferigno narra ne ‘il racconto de lunedì’ come sia nato il proverbio che parla su Piano di Sorrento

Esistono dei proverbi nati in epoche remote che sono simpaticissimi e derivano da quel marcato campanilismo che c’è sempre stato, tra i vari paesi della penisola sorrentina. Occorre fantasia per andare aldilà dell’enunciato, per scoprire cosa nasconda di vero, perché un detto dura nel tempo solo quando ha alla base una verità, anche se scomoda.

Prendiamo in esame il seguente: “Caruotto è comm’a ‘nu tino, chello ca faje ‘a sera, se sape ‘a matina…”

Il tino è un recipiente di legno, in forma di tronco di cono, fatto di doghe cerchiate di ferro, che serviva per pigiare l’uva e farla fermentare. Al femminile, la tinozza, è un recipiente di legno o metallo utilizzato un tempo per usi domestici. Sia il tino che la tinozza danno l’idea di un oggetto che serve per un lavoro provvisorio, ovvero viene riempito, per essere svuotato appena possibile. Tale e quale ad un segreto che a Carotto dura una notte sola, non di più.

Questa necessità di parlare, di rivelare, dire, raccontare è caratteristica di un popolo che è estroverso, vuole comunicare e svuotare il sacco o il tino alle altre persone che vivono gomito a gomito, magari aspettando l’alba quando apre il mercato o seduti al Caffè a giocare a carte e chiacchierare, nelle sacrestie e negli spazi di aggregazione. Anche se la maldicenza popolare assegna il primato del pettegolezzo ai barbieri e alle parrucchiere, una volta chiamate capere, il cui solo nome già faceva rabbrividire.

Non ne sono certo, ma presumo che questo proverbio sia stato coniato a Meta, dove storicamente è sempre stata viva una maggiore riservatezza, accompagnata al piacere di rimanere in casa, in attesa di mariti, figli, fidanzati, lontani da mesi perché naviganti. Da Meta avrebbero visto, il comportamento di quelli di Carotto in antitesi al loro. Naturalmente il pettegolezzo, il parlare e raccontare erano considerati stretti parenti del commercio, così vivo a Piano, quell’arte del ciarlatano che con il suo dire convince, incanta l’acquirente e piazza la merce.

Ma, lasciando da parte il commercio, quali erano gli argomenti che transitavano più di frequente nel tino? Quelli universali! Prima di ogni cosa le corna, poi i fidanzamenti ed i matrimoni con annessi e connessi: il festino, l’abbigliamento degli invitati, la sposa, i regali e perfino le bomboniere. Poi disgrazie e malattie, persone nuove arrivate in paese, le inconfessabili tendenze omosessuali di qualcuno, pellegrinaggi e funzioni in chiesa, il re e la regina, il vescovo e il papa. Era una gioia la venuta a domicilio della temuta capera, per il taglio o la pettinatura, voleva dire aumentare il bagaglio di conoscenze, avere altro da raccontare, avere l’opportunità di ridere, sorridere, piangere e soffrire per qualcuno o qualcosa e tante volte anche scandalizzarsi per un pettegolezzo che non si sarebbe mai e

poi mai voluto sentire e che invece non si vedeva l’ora di appurare.

Questo proverbio, così come tanti altri, ci riportano ai tempi di “Pane, amore e fantasia”, ad un’Italia che non c’è più, semplice e provinciale, tutta Patria, Dio e Famiglia. Forse ancora oggi è valido l’antico detto che “Caruotto è comm’a ‘nu tino, chello ca faje ‘a sera, se sape ‘a matina…”? Non lo so, bisognerebbe provare per saperne di più…