Don Simone Piscopo e la Repubblica Partenopea

Ciro Ferrigno ne ‘Il racconto del lunedì ’ narra la storia di cosa accadde in costiera sorrentina

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Foto tratta dal diario di Facebook di Ciro Ferrigno

Il 23 gennaio 1799 con l’entrata dei francesi a Napoli, cadeva la monarchia borbonica e nasceva la Repubblica Partenopea. Furono nominati capi del Governo provvisorio Mario Pagano e Domenico Cirillo. Ben presto furono innalzati in tutte le piazze gli alberi della libertà tra luminarie, balli ed il canto dell’inno: “Viva l’albero innalzato della nostra libertà; sorgi, o pianta avventurosa; ergi il tronco, e i rami in alto, e disprezza il vano assalto di nemica crudeltà. Tu raccogli all’ombra amena questo popolo rinato, che ha già l’albore innalzato della propria libertà”.

Anche Carotto ebbe il suo albero nella Granpiazza e la popolazione, da sempre aperta a nuove idee, grazie ai continui contatti commerciali con Napoli ed il resto del mondo, accolse con favore quello che sembrava il nuovo corso della storia. Molti cittadini ebbero un ruolo nello svolgimento degli eventi e vi fu partecipazione convinta. Autonomamente organizzarono la municipalità per l’amministrazione del Piano, che all’epoca comprendeva un vasto territorio, da Meta, fino al confine con Sorrento.

Molti, credendo nei valori della Repubblica, parteciparono attivamente alla sua breve vita, con vere e proprie azioni di guerriglia o solo sul piano della propaganda politica. Ai primi di febbraio alla Marina di Cassano Andrea Mazzitelli, con alcuni soldati francesi guidati da Domenico di Guida, riuscì ad impossessarsi di due polacche cariche di 1125 barili di polvere nonostante la resistenza dei “luciani”, marinai fedeli al Re, che erano a guardia. Nei giorni successivi, per decreto del Governo provvisorio, in tutte le marine della penisola, iniziò la costruzione di fortificazioni e il collocamento di batterie per la difesa, poste sia in alto, sui costoni, sia sugli arenili. Tutti gli abitanti furono chiamati a collaborare, a offrire le loro braccia.

Un altro nostro concittadino, che si impegnò in prima persona, fu Nicola Amalfi che il 27 febbraio partecipò ad un’importante azione di guerra, per riportare l’ordine e la fedeltà alla Repubblica nella costiera sorrentino-amalfitana. Ecco la sua lettera: “Cittadini, con trasporto vi annuncio la quiete stabilita in tutta la costiera. Gli abitanti di Vico e del Piano al vostro invito si sono armati, e 200 condotti dall’Elettore Saverio Parascandolo, e più di altrettanti condotti di Municipalità del Piano hanno giurato l’esterminio de’ nemici della Libertà. Gli Assassini di Positano hanno temuto il loro entusiasmo, e sono fuggiti; ed a quest’ora l’onesta gente di quel Paese ed i Patrioti, ch’erano rimasti oppressi, hanno ripiantato l’albore della Libertà. Cetara è stata distrutta ed incendiata, e le forze Repubblicane gli hanno inseguiti dappertutto. Invano questi assassini su di un piccol legno hanno tentato uno sbarco nelle coste del Piano; essi son respinti, ed i Patrioti di Vico e del Piano si dispongono assaltarli in una Marina disabitata di Massa, dove si sono rifugiati. Rappresentanti, gli Abitanti di Vico e del Piano si compromettono della tranquillità della costiera, riposate nel loro patriottismo, il loro sangue e le loro sostanze sono per la Repubblica e per noi. Nicola Amalfi….”

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Foto tratta dal diario di Facebook di Ciro Ferrigno

Ma la più singolare fu l’iniziativa del sacerdote Simone Piscopo che il 30 marzo, dal campanile della chiesa parrocchiale di Mortora, lesse il “Catechismo repubblicano”, del vescovo di Vico Equense, Mons. Michele Natale, a molti fedeli che si erano radunati sul sagrato della chiesa. Don Simone apparteneva a quella famiglia Piscopo, originaria di Napoli, che già nel 1705 si era stabilita in un fondo, che possedeva a Carotto. Una modesta abitazione tra aranci e limoni in via del Beneficio, che nel tempo sarebbe diventata Villa Irbicella. Tutti ascoltavano don Simone, felici di credere che, con l’appoggio dei Francesi, il Piano si sarebbe liberato di tutti quei tributi e pagamenti vari, che da sempre erano dovuti a Sorrento. Caduta la Repubblica Partenopea, al ritorno dei Borboni, il sacerdote subirà un duro processo e lo salverà solo l’intervento autorevole dell’Arcivescovo Silvestro Pepe.

Mentre a Piano l’idea di un nuovo ordine convinse un largo strato della popolazione, Sorrento rimase filoborbonica, tanto che già ad aprile scoppiò una furiosa reazione, capeggiata da un certo Domenico Fiorentino, detto ‘o Mercantiello che, abbattuto l’albero, condusse i suoi seguaci al saccheggio delle case di tutti quelli che avevano accolte le nuove idee, seminando distruzione, incendiando case e giardini e lasciando per giorni la città nella più totale anarchia. Il giorno 24 aprile gli scontri, tra monarchici da una parte e repubblicani dall’altra, divamparono anche nella Piazza a Carotto e qui perse la vita un certo Gennaro di Massa. Proprio quando la reazione si stava estendendo, il 29 aprile giunse a Piano il generale francese Sarrazin con i suoi soldati, mentre a mare, presso la punta Scutolo avvenivano cannoneggiamenti tra le navi dell’Ammiraglio Caracciolo, e quelle inglesi, filoborboniche. Furono i pianesi a scortare il Sarrazin fino alle alture che dominano Sorrento, una postazione chiave per il controllo della città, che, sebbene accerchiata, rimaneva fedele alla monarchia. Infatti il primo maggio, per rinforzare la sua difesa sbarcarono cento soldati guidati dal borbonico Micheroux. Alla fine gli Inglesi ed i realisti ebbero la meglio: il 10 giugno presero il Capo di Sorrento, il giorno seguente Piano e il 12 Vico Equense.

Il fatidico 13 giugno, dopo un’ostinata e tremenda resistenza, le poche truppe repubblicane venivano annientate, al ponte della Maddalena, dalle orde barbariche del Cardinale Ruffo, che entrate in Napoli, in nome della Santa Fede e del Re, saccheggiarono ed incendiarono le case degli intellettuali napoletani che avevano aderito alla Repubblica, commettendo orrende carneficine. Anche a Sorrento e in tutto il Piano le case dei repubblicani furono saccheggiate e depredate. Al posto degli alberi della libertà, furono innalzate delle croci di pietra, sopra un piedistallo con otto angoli.

Con la feroce restaurazione borbonica cadde il fior fiore dell’intelligentia e della cultura di Napoli. In penisola sorrentina furono giustiziati il Vescovo Monsignor Natale di Vico, Luigi Bozzaotra e Severo Caputo di Massa, Francesco Guardati e Nicola Fasulo di Sorrento. A Piano caddero in disgrazia le famiglie Mastellone e Maresca di Serracapriola, Nicola Amalfi e Gennaro Cacace che fu esiliato a Marsiglia. In via San Giovanni, sono ancora visibili tre stemmi cancellati a colpi di scalpello dai portali dei palazzi dopo la restaurazione, per punire e mortificare quelle famiglie che avevano partecipato attivamente agli eventi rivoluzionari.

Nell’elenco dei nomi delle persone, alle quali i Borboni non avrebbero mai concesso il perdono, il Piano ne conta ben dieci!