Nato a Piano di Sorrento si mise a sua disposizione ma quando vide quali erano le sue intenzioni, di portar via i grandi capolavori salvo quel che poteva
Napoleone è passato alla storia per il valore in battaglia, ma anche per i saccheggi di opere d’arte, in tante città italiane, spedite in Francia, dopo averle opportunamente imballate. Ma la storia ci tramanda i nomi di altri che hanno provato in tutti i modi a sottrarre opere d’arte alle nostre città conquistate, per trasferirle nelle proprie, allo scopo di abbellire le loro dimore e arricchire le collezioni.
Uno era Don Pedro Antonio d’Aragona, Vìcerè in Napoli dal 1666 al 70, girava incessantemente per chiese e monasteri della città alla ricerca di quadri di valenti artisti, per farli suoi con le buone o le cattive. Quando trovava religiosi compiacenti, elargiva una somma e portava via quello che più gradiva; in caso contrario agiva di autorità. Passarono in sua mano due pale d’altare rispettivamente di Raffaello e Tiziano che si trovavano in San Domenico Maggiore e poi ancora statue, bassorilievi e altre opere pittoriche di grande valore. La sete d’arte smodata lo portò alla ricerca di una persona esperta, che gli desse notizie, consigli, ragguagli, pareri ed eventuali elenchi delle opere presenti nelle varie chiese e nei vari monasteri cittadini. Dopo attento esame, la scelta andò a cadere su colui che gli sembrò più adatto: Giacomo de Castro, buon pittore ed ottimo restauratore, persona integerrima, uomo che godeva di grandi reputazione e stima negli ambienti artistici. Chi era Giacomo de Castro?
Giacomo era nato a Piano di Sorrento nel 1597. Fin da bambino aveva mostrato una chiara vocazione per l’arte, tanto che la famiglia lo indirizzò alla locale bottega di un Di Castro, per apprendere i primi rudimenti. Adolescente si trasferì a casa di parenti a Napoli, dove fu discepolo di Giovan Battista Caracciolo, detto Battistello. Vi rimase fino all’età di diciannove anni, poi scelse di frequentare la bottega di un altro grande, il Domenichino, che aveva ammirato in lui la bravura nel dipingere gli angeli.
Giacomo lavorò su commissione, dipinse varie figure e alcune Storie del Vecchio Testamento per la famiglia Loffredo di Napoli, ma, principalmente, molte tele per le chiese di Sant’Agnello e di Carotto. Particolarmente apprezzati sono quelli che si trovano nella chiesa parrocchiale dei Santi Prisco ed Agnello, ossia lo Sposalizio di San Giuseppe, l’Annunziata, il San Michele che scaccia Lucifero dal Paradiso ed un San Giovanni Evangelista, opera attribuita a lui; tutti dipinti lodevoli, dai quali traspaiono buon gusto, precisione e sapienza nell’uso dei colori. Altri suoi dipinti sono la pala d’altare della chiesa della Natività di Maria e quella della chiesetta di San Rocco a Maiano. Nella Basilica di San Michele a Piano sull’altare dei Maresca di Serracapriola troneggia la sua pala che raffigura la Vergine con San Francesco d’Assisi e Santo Stefano, anche se alcuni la ritengono opera di Giuseppe Castellano o, più genericamente, di scuola napoletana. Infine, nella vicina Casa di Riposo, si conserva una tela che raffigura la Madonna di Costantinopoli. Il de Castro non eseguì molte opere, avendo scelto il restauro; infatti poco alla volta raggiunse un livello tale che gli consentì di intervenire su opere di pittori importantissimi, come un ritratto di Tiziano molto rovinato. Fondò un vero e proprio laboratorio di restauro ed ebbe molti allievi, tra i quali Nicola di Liguoro ed Antonio di Simone, già discepolo di Luca Giordano.
Ma torniamo a Don Pedro Antonio di Aragona e alle sue ruberie. Dapprima Giacomo si pose al suo servizio redigendo elenchi, consigliandolo, poi, quando capì le reali intenzioni del Viceré, con perspicacia e furbizia, tentò di salvare il salvabile. Cominciò a definire misere copie alcuni capolavori, belli ma senza pregio altri, in modo da dissuaderlo. Giunse persino a far sollevare gli abitanti del rione di Santa Lucia, quando don Pedro stava per far smontare e portar via la stupenda fontana di marmo della marina. Salvò quadri di Raffaello, del Polidoro, di Andrea del Sarto, giusto per citare qualche autore. Per amore di Napoli riempì di bugie il Viceré, rischiando la propria pelle. Vecchio e stanco, ricco, amato e stimato da tutti lasciò la città per tornare in famiglia e si spense a Sorrento, all’età di novant’anni, rimpianto da tutti quelli che avevano avuto la fortuna di conoscere le sue doti umane ed artistiche.