Il ritorno a Sant’Agostino, detto “’O paese cchiù antico ca ‘nce sta”

Ciro Ferrigno ne ‘Il racconto de lunedì’ narra che gli abitanti del distrutto borgo di Galatea da parte dei Mauri, ritornarono alle loro antiche radici

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Madonna di Galatea, foto tratta dal diario di Facebook di Ciro Ferrigno

Redazione – Nel libro “Cenni storici dell’antica chiesa e dell’immagine di Santa Maria di Galatea” del Rev. Giuseppe Ferraro, pubblicato nel 1880, ad un certo punto possiamo leggere una frase molto interessante. Il senso è questo: “dopo la distruzione del borgo di Galatea, da parte dei Mauri, la popolazione tornò a Sant’Agostino, suo luogo di origine”.

Questa affermazione è molto significativa e merita delle considerazioni. Nella tradizione popolare, da sempre Sant’Agostino è considerato “’O paese cchiù antico ca ‘nce sta”, un’affermazione che solo in anni recenti ha trovato conferma negli scavi archeologici che sono seguiti alla scoperta di alcune tombe preistoriche durante i lavori alla Scuola Media Michele Massa. In realtà tutta la zona indagata, ha restituito testimonianze tali da far ritenere che proprio nel sito di Sant’Agostino si sia formata la prima comunità stanziale della penisola, con gente della Civiltà del Gaudo, giunta dall’aria egeo-anatolica, circa tremila anni prima di Cristo. Naturalmente il nome di Sant’Agostino è di gran lunga posteriore, rispetto all’antichità del primitivo insediamento e sarebbe da attribuire ai Benedettini dell’Abbazia di San Pietro a Cermenna se non alla presenza di una comunità di monaci agostiniani che si sarebbe stabilita sul posto costruendovi la chiesa ed una casa fortificata, in grado di accogliere gruppi di persone e di fuggitivi, nel momento della necessità. Altrove ho ipotizzato che il primitivo nome del luogo potesse essere Vico Alvano o Albano, perché il borgo è situato nella stessa direzione del sole nascente.

La dott. Budetta che ha diretto gli scavi di Trinità ha ipotizzato che la popolazione originaria del posto, nel corso dei secoli si sia fusa con altre popolazioni subendo continue evoluzioni ed entrando in contatto con civiltà più avanzate e sentendo la necessità di espandersi sul territorio alla ricerca di nuovi spazi dove vivere, coltivare e allevare animali. La prima espansione sarebbe avvenuta verso l’attuale centro di Carotto, in età arcaica, per poi continuare altrove, nelle epoche successive, fino a riconoscere nel mitico Liparo il proprio sovrano, contribuendo alla nascita di Sorrento.

È proprio in una di queste “colonizzazioni” che, verosimilmente un nucleo di famiglie, in età greco-romana abbia fondato una nuova borgata intorno ad un tempietto dedicato a Galatea, ninfa venerata nella duplice veste di protettrice dei naviganti e degli armenti. Una divinità da contrapporre alla Ninfa Carmenta venerata a Cermenna, alla quale erano sacri i boschi e le sorgenti. Quindi, intorno al 1520, quando il borgo di Galatea fu raso al suolo, i suoi abitanti, dopo aver seppellito i morti ed aver constatato la sparizione della Madonnina, fecero ritorno a Sant’Agostino. Non fu certo un romantico tornare alle proprie radici, che forse dopo secoli si erano del tutto smarrite, ma l’andare verso un luogo ospitale e sicuro, quale poteva essere proprio la casa-fortezza degli agostiniani. Senza dubbio, dopo un’invasione devastante con violenze e saccheggi, morti e feriti, grande era il bisogno di sentirsi al sicuro.

Con la distruzione del borgo di Galatea e della sua chiesa andarono perse tutte le memorie riguardanti la prima parrocchia del Piano, oggetti di valore, forse offerte votive, manoscritti e antiche icone. Si salvò solo la miracolosa statuetta della Madonnina di Galatea, rimasta al sicuro sotto un cumulo di macerie per più di mezzo secolo, prima di tornare miracolosamente alla luce nella primavera del 1580. Per compiere prodigi la Divina Provvidenza si serve di tutto, proprio di tutto, anche di un cumulo di macerie.