Il grano per i Sepolcri ed il trionfo della primavera sull’inverno

Ne ‘Il racconto del lunedì’ Ciro Ferrigno narra come il parroco di San Michele, don Saverio Sessa era molto legato al tradizionale allestimento del Sepolcro o Altare della Reposizione, allora c’era la semplicità e la genuinità

Foto tratta dal diario di Facebook di Ciro Ferrigno

Il parroco di San Michele, don Saverio Sessa era molto legato al tradizionale allestimento del Sepolcro o Altare della Reposizione, ci teneva tantissimo, era un amore che superava quello pur forte per il Presepe. Destinava allo scopo l’ultimo altare della navata destra, appartenente alla famiglia Massa, che custodisce il trittico di Marco Pino. In quegli anni era il più apprezzato in penisola, per la profusione di fiori, il grano ed il simbolismo eucaristico molto curato. Alcune famiglie di coloni, già due o tre settimane prima della Settimana Santa, mettevano a dimora il grano per la chiesa, che si ottiene con un procedimento che è rimasto immutato nel tempo: chicchi di grano, lenticchie o scagliola vengono ricoperti da un leggero strato di terriccio o anche ovatta, e lasciati al buio in appositi vasi. Se si ha cura di spruzzarvi sopra dell’acqua a giorni alterni, si ottiene, in tempo per il Giovedì Santo, una pianta fitta di foglioline filamentose e sottili, di color giallo pallido.

Era uno spettacolo assistere all’arrivo delle carrette con le piantine di grano, spesso trainate dagli asinelli, che arrivavano dai giardini e dagli agrumeti che un tempo circondavano la Basilica. Pure le Agostiniane del Monastero contribuivano a produrne, nei giorni della Quaresima, quando vivevano un rigido periodo di digiuno ed astinenza. Sul sagrato era un passamano per scaricare le ceste con le piantine e portarle in chiesa; contribuivano i passanti e principalmente ragazzini, ai quali venivano donate caramelle al miele o all’anice. Ma il momento più suggestivo era l’arrivo del fioraio, con fasci di violacciocche bianche, gialle, rosa, viola e tante volte anche color giallo scuro con venature marroni, chiamate viole di San Giuseppe. C’erano mazzetti di fresie profumatissime, anemoni, giacinti e rami di pesco in fiore; tutta produzione del territorio. Con l’allestimento del Sepolcro la primavera entrava trionfalmente in chiesa, in un tripudio di colori e profumi, pronta ad annunziare il trionfo sull’inverno e la prossima Risurrezione di Cristo che avrebbe umiliato e sconfitto per sempre la morte.

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Foto tratta dal diario di Facebook di Ciro Ferrigno

I Sepolcri, che oggi si chiamano Altari della Reposizione sono quadri plastici di contenuto eucaristico, con riferimenti all’Ultima Cena, all’Orto degli Ulivi ecc. realizzati con l’uso di preziosi ed antichi candelabri e calici, lucerne, pane, brocche con il vino, rami d’ulivo, spighe e altro. Essi custodiscono il Santissimo dalla sera del Giovedì a quella del Venerdì Santo. Per tutta la notte e il giorno seguente il popolo li visita, sostando in preghiera. La tradizione ammonisce che bisogna vederne un numero dispari, perché il pari porta male.

Ancora oggi, per fortuna vengono allestiti Altari molto belli a Meta, a Sant’Agnello, a Mortora, a Trinità, altri bellissimi sono a Sorrento. Sempre artistico quello di San Michele, dove don Pasquale non bada a spese per acquistare i migliori fiori di primavera. Allora cosa manca? Forse quel sapore antico, d’altri tempi perché con il commercio internazionale dei fiori è primavera tutto l’anno e certi non profumano più come una volta. Mancano la semplicità e la genuinità del fatto in casa, la collaborazione spontanea dei ragazzini ai quali donare le caramelle e sono scomparse del tutto le vecchie carrette di legno. Con la vita frenetica di oggi che ci impone di correre, aver fretta e macinare spazio e tempo, oramai è venuta meno anche l’attesa che il chicco divenga grano…