Ciro Ferrigno ne ‘il racconto del lunedì’ parla della duplice interpretazione del detto ‘T’’e vvaje a piglià ‘ncopp ‘a Carcarella!’
Nei tempi passati esistevano dei modi di dire o detti che in poche parole riassumevano un contenuto che sarebbe stato lungo da spiegare, tra questi: T’’e vvaje a piglià ‘ncopp ‘a Carcarella! Come per dire vanti un credito inesigibile o vorresti la restituzione di qualcosa che oramai hai perso per sempre.
Un tempo ai Colli di San Pietro esistevano delle cave che venivano utilizzate per ottenere la calce, utile nell’agricoltura. La Carcara grande si trovava nella zona del Castello Colonna, alle pendici del Monte Vico Alvano mentre un’altra di dimensioni minori, appunto Carcarella o Calcarella ed anche Cascarella non era lontana dall’attuale Girone, della statale amalfitana. La cottura delle pietre di calcare per ottenere la calce avveniva alla Carcara ed era l’atto finale di una grande fatica. Infatti bisognava trasportare delle pietre molto pesanti e accatastarle. Altro compito era quello di raccogliere la legna necessaria per procedere alla cottura; il legname da ardere veniva assemblato in grandi “manucoli”, che pure bisognava trasportare a spalla.
La fatica per la riscossione di un credito o la restituzione di qualcosa veniva assimilata alla dura fatica per raggiungere la Carcarella e si presta ad una duplice interpretazione. La prima riguarda la fatica di trasportare la legna o la pesantissima pietra, fino al luogo della cottura, la seconda considera la difficoltà di salire fin sulla collina, percorrendo stradine in terra battuta. Bisogna pensare ai secoli passati, quando mancando le Statali Amalfitana e Sorrentina, per raggiungere i Colli, bisognava salire a piedi con il bello e con il cattivo tempo. Fin dall’antichità più remota, si staccavano dalla Minervia, stradine in terra battuta o pavimentate con grossi quadroni di piperno. Da Sant’Agostino si saliva per Via Piana e Via Cermenna e da Mortora o Moltola o Mortella si andava per Sant’Aluore verso l’antico sito di Galatea. Le fatiche fisiche per salire alla Carcara o alla Carcarella davano bene il senso di quanto sarebbe costato recuperare qualcosa che altrimenti sarebbe andato perso per sempre.
D’altra parte, come già ho accennato, la Carcara e la Carcarella si associavano ad un qualcosa di faticoso, aumentato dalla sofferenza del caldo estivo. Infatti, la produzione della calce avveniva in prevalenza nel mese di agosto, quando i contadini, non avendo altri impegni nella cura dei terreni, potevano dedicarsi alla produzione della calce viva, indispensabile per combattere alcune malattie delle piante, come quella dello iodio per le viti. Ma le stesse pietre di calce avevano molteplici usi, come quello di purificare un ambiente. Infatti una volta all’anno, buttandone nella cisterna una bella grossa, si disinfettava l’acqua piovana, al punto di renderla potabile.
Naturalmente questo antico detto è ampiamente e strettamente correlato con tutti quelli che parlano male del prestito: “Si ‘o prestito fosse bbuono…” veri tesori della sapienza popolare. Se volessi fare un pur sommario elenco di tutte le volte che sarei dovuto salire alla Carcarella per recuperare qualcosa prestato e mai più restituito, non la finirei più. Meglio convertire il prestito in un dono e ripetere con Gabriele D’Annunzio: “Io ho ciò che ho donato!”